STUDIO LEGALE
SCAFETTA

Indennità di accompagnamento e stranieri privi della carta di soggiorno: riconoscimento del diritto

A cura dell'Avv. Daniela Carbone

 

Con sentenza del 15 marzo 2013 n. 40 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 80, comma 19, legge 23 dicembre 2000 n. 388, nella parte in cui subordina al requisito della titolarità della carta di soggiorno la concessione agli stranieri, legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato, dell’indennità di accompagnamento prevista dall’art. 12 della legge n. 118 del 1971.

I dubbi di legittimità costituzionale si concentrano sui vincoli introdotti dall’art. 80, comma 19, della legge finanziaria del 2001 – più volte scrutinato dalla Corte – in tema di prestazioni sociali agli stranieri, essendosi ivi previsto che le provvidenze costituenti diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di servizi sociali sono concesse ai soli stranieri titolari della carta di soggiorno; istituto, questo, sostituito, a far data dal 2007, con il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, a norma dell’art. 2, comma 3, del decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3 (Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo) ed il cui conseguimento è a sua volta condizionato da alcuni requisiti. Per ottenere tale permesso, infatti, è necessario che lo straniero dimostri:

a) la disponibilità di un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale e, nel caso di richiesta relativa ai familiari, di un reddito sufficiente secondo i parametri indicati dall’art. 29, comma 3, lettera b), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina della immigrazione e norme sulla condizione dello straniero);

b) la disponibilità di un alloggio idoneo che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica ovvero che sia fornito dei requisiti di idoneità igienico-sanitaria accertati dall’Azienda unità sanitaria locale competente per territorio;

c) il possesso, da almeno cinque anni, di un permesso di soggiorno in corso di validità (art. 9 del Testo unico sull'immigrazione).

Si tratta, dunque, di requisiti che vanno da parametri di squisita connotazione censuaria ad altri che attengono alle generali condizioni di vita, per finire con un presupposto di tipo meramente temporale, raccordato al periodo di permanenza in Italia con regolare permesso di soggiorno.

La Corte rileva che il legislatore della legge finanziaria del 2001, proprio in tema di prestazioni che, in base alla legge, sono configurate come «diritti soggettivi» e proprio nei confronti di soggetti portatori di gravi patologie ed invalidità, e dunque particolarmente bisognevoli di specifiche misure di assistenza, ha così finito per introdurre nei confronti degli stranieri, pur legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato, una variegata gamma di presupposti limitativi, contrassegnati dai diversi requisiti cui altra normativa ha subordinato il permesso CE per soggiornanti di lungo periodo.

Tale previsione normativa ha generato una indubbia disparità di trattamento fra stranieri e cittadini, particolarmente grave non solo per il diretto coinvolgimento di diritti fondamentali della persona, ma anche perché destinata a riverberarsi automaticamente nei confronti degli stessi nuclei familiari in cui i potenziali beneficiari delle provvidenze – non di rado anche minori – si trovano inseriti.

La Corte ha avuto modo di occuparsi ripetutamente della medesima disposizione ora denunciata in riferimento agli istituti della pensione di inabilità (sentenza n. 11 del 2009 e sentenza n. 324 del 2006) e della indennità di accompagnamento (sentenza n. 306 del 2008), dichiarando l’illegittimità costituzionale anche dell’art. 9 del Testo unico sull’immigrazione, nella parte in cui si escludevano queste provvidenze per gli stranieri non in possesso dei prescritti requisiti di reddito.

Nel frangente, la Corte rilevò come fosse manifestamente irragionevole subordinare l’attribuzione di prestazioni assistenziali (che presupponevano uno stato di invalidità e disabilità) al possesso di un titolo di legittimazione alla permanenza nel territorio dello Stato che richiede, per il suo rilascio, tra l’altro la titolarità di un determinato reddito.

La più generale previsione del possesso del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo è stata invece scrutinata, sul versante della titolarità del permesso di soggiorno da almeno cinque anni, nelle sentenze n. 187 del 2010 (riguardante l’assegno mensile di invalidità, di cui all’art. 13 della legge n. 118 del 1971) e n. 329 del 2011 (concernente la indennità di frequenza di cui all’art. 1 della legge 11 ottobre 1990, n. 289, recante «Modifiche alla disciplina delle indennità di accompagnamento di cui alla legge 21 novembre 1988, n. 508, recante norme integrative in materia di assistenza economica agli invalidi civili, ai ciechi civili ed ai sordomuti e istituzione di un’indennità di frequenza per i minori invalidi»).

In entrambe le occasioni, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale della normativa denunciata, la Corte, in particolare, rilevò che – ove si tratti, come nei casi allora delibati, di provvidenze destinate al sostentamento della persona nonché alla salvaguardia di condizioni di vita accettabili per il contesto familiare in cui il disabile si trova inserito – qualsiasi discrimine fra cittadini e stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato, fondato su requisiti diversi da quelli previsti per la generalità dei soggetti, finisce per risultare in contrasto con il principio di non discriminazione di cui all’art. 14 della CEDU, avuto riguardo alla interpretazione rigorosa che di tale norma è stata offerta dalla giurisprudenza della Corte europea.

Ad avviso della Corte costituzionale, alla luce dei princìpi affermati, in particolare, nella sentenza n. 329 del 2011, è evidente che un identico ordine di rilievi possa e debba essere evocato – seppure mutatis mutandis – anche nell’attuale scrutinio, avuto riguardo alla natura ed alla ratio delle provvidenze qui in considerazione.

In ragione delle gravi condizioni di salute dei soggetti di riferimento, portatori di handicap fortemente invalidanti (in uno dei due giudizi a quibus si tratta addirittura di un minore), vengono infatti ad essere coinvolti una serie di valori di essenziale risalto – quali, in particolare, la salvaguardia della salute, le esigenze di solidarietà rispetto a condizioni di elevato disagio sociale, i doveri di assistenza per le famiglie – tutti di rilievo costituzionale in riferimento ai parametri evocati, tra cui spicca l’art. 2 della Costituzione – al lume, anche, delle diverse convenzioni internazionali che parimenti li presidiano – e che rendono priva di giustificazione la previsione di un regime restrittivo (ratione temporis, così come ratione census) nei confronti di cittadini extracomunitari, legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato da tempo apprezzabile ed in modo non episodico, come nei casi di specie.

La normativa impugnata deve, pertanto, essere dichiarata costituzionalmente illegittima, nella parte in cui subordina al requisito della titolarità della carta di soggiorno – ora permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo – la concessione ai cittadini extracomunitari legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato della indennità di accompagnamento e della pensione di inabilità.

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