STUDIO LEGALE
SCAFETTA

Lo sportello unico per l'edilizia

sportello unico edilizia
di Michela Scafetta

Indice

1. EVOLUZIONE DELLA DISCIPLINA EDILIZIA ED URBANISTICA IN ITALIA

1.1 Norme semplici e procedure snelle col Testo Unico sull’edilizia
1.2 Gli indirizzi legislativi
1.3 Le principali fonti legislative
1.4 Semplificazione amministrativa, riforme Costituzionali e Testo Unico dell’edilizia
1.5 Il Testo Unico 6 giugno 2001, in materia edilizia, e successive modificazioni

2. LO SPORTELLO UNICO PER L’EDILIZIA FRA GOVERNO, REGIONI E COMUNI

2.1 Premessa
2.2 Dalla semplificazione amministrativa alla semplificazione urbanistica: il Testo Unico per l’edilizia
2.3 La disposizione regolamentare che prevede lo sportello unico
2.4 Le competenze legislative regionali
2.5 Più in generale: delegificazione e regioni
2.6 L’edilizia come materia regionale
2.7 L’organizzazione degli uffici comunali come materia non regionale: dubbi quanto allo sportello unico
2.8 I vincoli derivanti, anche al Governo, dall’ attribuzione ai Comuni della competenza in materia di organizzazione dei propri uffici

3. FUNZIONI E COMPITI DELLO SPORTELLO UNICO PER L’EDILIZIA

3.1 I singoli compiti dello sportello
3.2 Articolo 5 (R) del Testo Unico dell’edilizia n.380\2001
3.3 La Costituzione dello sportello unico per l’edilizia (SUE)
3.4 Le funzioni dello sportello unico per l’edilizia
3.5 Competenze istruttorie dello sportello unico
3.6 Le caratteristiche organizzative dello sportello unico per l’edilizia
3.7 Valutazione complessiva del ruolo dello sportello unico dell’edilizia
3.8 Il confronto con lo sportello unico per gli insediamenti produttivi
3.9 Il necessario completamento del quadro ad opera dei Comuni
3.10 Sperimentazione di uno sportello Unico urbanistico – edilizio

BIBLIOGRAFIA

1.1 Norme semplici e procedure snelle col Testo Unico sull’edilizia

In un Paese che ha un gran bisogno di riqualificare le città e di migliorare la qualità complessiva dell’edilizia esistente, dopo una lunga attesa, è stato finalmente pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 245 del 20 ottobre 2001, con D.P.R. del 6 Giugno 2001 n. 380, il Testo Unico in materia edilizia.

Le norme che regolavano attualmente gli interventi edilizi privati erano innumerevoli, sparse in diversi provvedimenti di varia natura (a volte di nessuna attinenza con la materia),frammentarie e, spesso, persino contraddittorie visto che il legislatore è intervenuto su singole norme dimenticandosi a volte di abrogare quelle vecchie.
Ciò dunque comportava il perdurare di una situazione di incertezza, farraginosità, lentezza procedurale, anche per interventi tutto sommato minori e di nessuna rilevanza per l’interesse pubblico.

La situazione doveva essere rapidamente superata; le norme erano troppe, non chiare e dunque suscettibili di interpretazioni e di prassi molto diversificate; la buona volontà dei singoli non era sufficiente a rendere meno tortuose le procedure e più accettabili i tempi di attesa.
Occorreva semplificare, definire poche norme chiare; distinguere una buona volta in modo netto fra interventi minori per i quali le procedure devono essere poche
(o anche nessuna) e gli interventi per i quali è giusto vi sia attenzione in quanto trasformano in modo significativo il territorio.

La stesura di un Testo Unico rappresenta dunque un fatto importante per fare finalmente chiarezza sulle procedure da seguire negli interventi di trasformazione degli immobili.

La nuova normativa sarebbe dovuta entrare in vigore a gennaio del 2002, ma fatto davvero singolare, oltre a essere già oggetto di due rettifiche che hanno condotto alla sua ripubblicazione, è entrata in vigore il 1° luglio 2003, poiché il Governo aveva già dichiarato che era necessario coordinarla con la legge 443/2001, detta anche legge “obiettivo”, legge che delega al governo poteri sulle infrastrutture e gli insediamenti produttivi.

Il Testo Unico, oltre ad affrontare la nota questione della distinzione fra i compiti assegnati allo Stato e quelli assegnati alle Regioni in materia edilizia, contiene una articolata definizione delle tipologie di intervento edilizio che dovrebbe valere su tutto il territorio nazionale; rende facoltativa la presenza della Commissione Edilizia; introduce lo “SPORTELLO UNICO PER L’EDILIZIA” che ha il compito di curare il rapporto fra i privati proprietari e i vari uffici dell’Amministrazione o di altri enti pubblici cui è richiesto un parere, ma anche di fornire informazioni, liberalizza completamente gli interventi di manutenzione ordinaria e quelli finalizzati all’abbattimento delle barriere architettoniche.

Il Testo Unico, riduce a due i titoli che abilitano all’intervento edilizio: il Permesso di costruire (che sostituisce la vecchia concessione edilizia) e la Denuncia di inizio attività ; scompare l’autorizzazione edilizia.

Il permesso di costruire è richiesto per interventi di nuova costruzione e per gli interventi di ristrutturazione urbanistica ed edilizia (in quest’ultimo caso solo se l’intervento presenta alcune specifiche caratteristiche). La Denuncia di inizio attività è richiesta per tutti i casi in cui non serve il Permesso di costruire.

Il Testo Unico definisce i tempi per l’espletamento delle procedure; riordina fra l’altro, anche la materia delle sanzioni in caso di interventi abusivi o difformi; ingloba all’interno anche la normativa tecnica per l’edilizia (quale ad esempio la regolamentazione delle opere in cemento armato; delle parti impiantistiche, ecc) ed indica tutti i provvedimenti che vengono abrogati in tutto o in parte.

Non sarà un testo di legge a risolvere i problemi che oggi deve affrontare chi ha bisogno di effettuare interventi edilizi, però potrebbe essere un passo avanti almeno per rilanciare un obiettivo importante , quello della semplificazione delle norme e della velocizzazione delle procedure.

Il Testo Unico n. 380\2001 è solo il punto d’arrivo di un lunghissimo iter fatto di leggi, regolamenti, convenzioni ecc. che, è bene riportare alla mente per meglio comprendere la situazione attuale.

Se volessimo definire cronologicamente l’Urbanistica moderna, dovremmo dire che essa affonda le radici nel XVIII secolo, epoca in cui si sono manifestati due fenomeni strettamente connessi tra loro: l’accelerazione del tasso di crescita della popolazione determinato essenzialmente da un rallentamento della mortalità infantile e l’avvio del processo di industrializzazione ( soprattutto in Inghilterra e Francia), fenomeni che alterano l’equilibrio tra città e campagna e creano una concentrazione nelle grandi città con sprechi enormi di risorse ( umane ed economiche) e gravissime tensioni nel tessuto sociale.

L’urbanistica nasce appunto come tentativo – poco riuscito- di correggere i mali della città industriale.

Negli ultimi quarant’anni il dibattito nell’urbanistica, è stato particolarmente intenso e numerose sono le “analisi” e le “terapie” da esso scaturite.

Si è posto innanzitutto l’accento sul problema delle rendite urbane come causa principale delle attuali disfunzioni; si è affermata inoltre l’esigenza di legare le scelte territoriali a quelle economiche; sono state talvolta svalutate le posizioni illuministiche e tecnocratiche; è stata spesso esaltata  la partecipazione quale garanzia di un più incisivo controllo pubblico dell’uso del suolo.

Recentemente poi il discorso si è arricchito con i temi dell’ecologia, dello spreco delle risorse naturali e del suolo, della tutela delle aree agricole, dei beni culturali, del riuso del patrimonio edilizio esistente.

All’ampiezza di questo dibattito ha corrisposto nell’ultimo decennio una normativa urbanistica altrettanto copiosa e complessa quale mai storicamente era stata prodotta.

Fino al Testo Unico n.380\2001 i risultati sul piano fattuale sono stati estremamente poveri e deludenti, infatti, la maggiore consapevolezza della complessità del problema urbanistico ha finito talvolta per svalutare all’occhio degli urbanisti e delle amministrazioni locali, quel patrimonio di conoscenze tecniche, di prassi e normative (allineamenti, sporgenze, proporzioni tra edifici pubblici e privati), che per secoli avevano garantito l’alta qualità del prodotto urbano: col risultato di aggravare i fenomeni del degrado e di far perdere anche all’urbanistica la sua identità originaria di “progettista”, distogliendola sempre più dalle matematiche e dalle scienze della natura.

 


Fonti:

- A.S.P.P.I. net – il portale italiano sulla casa e sugli immobili

- BENEVOLO, Le origini dell’urbanistica moderna, Bari, 1971; AYMOMONINO, Le origini dell’urbanistica moderna, in critica Marxista, 1961, 19;ARDIGO’,La diffusione Urbana, Roma, 1967;ZOCCA, Sommario di storia urbanistica delle città italiane dalle origini al 1860, Napoli, 1861; SICA, Storia dell’urbanistica, Bari – Roma (Laterza), 1991. Sull’architettura moderna: BENEVOLO, Introduzione all’architettura, Bari, 1972; ZEVI, Architettura della modernità,
Roma,1994.SALVIA TERESI, Manuale di diritto urbanistico, CEDAM 2002.

- Che il fenomeno delle rendite parassitarie rappresenti una delle cause principali dell’attuale disordine urbanistico, è incontrovertibile. E’ pur vero che la scarsa, qualità progettuale è tenuta nascosta “dal paravento della speculazione considerata colpevole di tutti i mali” ( su questi problemi CERVELLATI, Il significato urbanistico del riuso, 1978).

- INDOVINA, Base materiale e schema interpretativo per la modificazione dell’organizzazione del territorio, in AA.VV., Potere e piani urbanistici, Milano, 1975,103

- CAMPOS VENUTI, Urbanistica ed austerità, Milano, 1978, 48

1.2 Gli indirizzi legislativi

Nel nostro diritto positivo, sino agli inizi di questo secolo il problema urbanistico era visto prevalentemente come problema dei “centri urbani” in funzione soprattutto della salubrità degli abitati, delle esigenze delle comunicazioni, del decoro cittadino.

Le norme legislative, propriamente urbanistiche erano scarse e frammentarie. Ciò non significa che la nascita e lo sviluppo delle città antiche sia avvenuto per via pressoché spontanea, al di fuori di penetranti controlli del potere pubblico.

Tale prospettiva è profondamente errata, poiché attraverso l’esercizio del loro potere regolamentare, i Comuni da sempre sono riusciti a dettare normative e a creare strumenti che per molti versi hanno anticipato la moderna legislazione urbanistica e il Testo Unico in materia edilizia: disciplina della licenza edilizia, del silenzio, dei controlli, previsione di rudimentali piani urbanistici (piani di espansione) ecc.

Non è neppure da sottovalutare il ruolo svolto in passato dalle convenzioni urbanistiche (facilitate allora da una proprietà meno frammentata di quella odierna), attraverso cui fu possibile realizzare importanti urbanizzazioni con l’apporto finanziario dei privati.

Volendo quindi trarre le prime conclusioni sul punto può dirsi questo: che le normative urbanistiche esistono da tempi molto remoti. Però, se fino ad una certa epoca erano assolutamente dominanti quelle comunali di carattere regolamentare, più tardi con l’avvento dello Stato di diritto e con l’importanza crescente dell’urbanistica diventa dominante la normativa statale, anche per dare una base legislativa al potere pianificatorio e regolamentare del Comune.

Con queste puntualizzazioni è possibile adesso tracciare sommariamente l’evoluzione storica della legislazione urbanistica in Italia. Il primo provvedimento normativo dello Stato italiano unitario, contenente riferimenti alla materia urbanistico-edilizia, fu la legge 20\3\1865, n. 2248 per l’unificazione amministrativa del Regno, che, nell’allegato A), prevedeva la facoltà dei Consigli comunali di deliberare sui regolamenti di “igiene, edilità e polizia locale” e, nell’allegato C) riguardante la sanità pubblica, concedeva al Sindaco il potere di “rimuovere le cause di insalubrità nel vicinato”.

Il regolamento di esecuzione di tale legge approvato con R.D. 8\6\1865, n. 2321, individuò quindi come contenuto fondamentale del regolamento edilizio, “ i piani regolatori dell’ingrandimento e di livellazione, o di nuovi allineamenti delle vie, piazza o passeggiate pubbliche”.

Ogni potere comunale in materia edilizia era comunque circoscritto all’abitato e non estensibile oltre questo.

Seguì la legge 25\6\1865, n. 2359 (sulle espropriazioni per causa di pubblica utilità), in massima parte dedicata alla disciplina dell’esproprio di aree finalizzato alla realizzazione di singole opere pubbliche che però conferì pure agli enti locali più organiche possibilità di controllo dello sviluppo urbanistico.
Essa previde infatti:

La legge del 1865 non prevedeva invece la necessità di una autorizzazione a costruire: tale obbligo, infatti, fu introdotto per la prima volta dal R.D.L. 25\3\1935, n. 640.

Le norme urbanistiche della legge n.2359\1865 ebbero però, una ridotta applicazione, per la impreparazione tecnica delle amministrazioni comunali, e trovarono una sostanziale limitazione nella inadeguatezza finanziaria degli enti locali, perché gli interventi operativi erano subordinati all’affermato diritto di ogni privato ad essere risarcito a prezzo di mercato per le limitazioni a lui imposte.

Le anzidette difficoltà portarono quindi, all’emanazione di provvedimenti legislativi speciali per determinate città: con interventi finanziari da parte dello Stato; agevolazioni tributarie per le costruzioni da eseguire nell’ambito della pianificazione adottata; previsioni di diversi criteri di determinazione dell’indennità di esproprio.
Vennero così adottati i primi piani urbanistici italiani: a Firenze nel 1865, a Roma nel 1873, a Milano e Bologna nel 1889, a Torino nel 1908.
A partire dal 1920 vennero quindi, approvati numerosi altri piani: rivolti tutti al maggiore sfruttamento possibile delle aree fabbricabili, anche per fronteggiare il momento di violenta esplosione edilizia seguito alla fine della prima guerra mondiale.

Il R.D.L. 15\4\1926, n.765 sancì l’obbligatorietà del piano regolatore per tutti i Comuni stazioni di cura, soggiorno e turismo.

Solo il piano regolatore di Roma approvato con legge 24\3\1932, n. 355, si pose come effettivo strumento principale di intervento urbanistico per la determinazione dell’assetto complessivo della città, mediante l’individuazione delle diverse zone funzionali di essa e degli impianti pubblici.

Per la prima volta inoltre, un siffatto strumento programmatico di pianificazione demandò la fase di attuazione e di intervento operativo ad altri strumenti sussidiari: regolamenti edilizi, piani di lottizzazione e comparti edificatori.

Fu il R.D.L. 25\3\1935, n. 640, convertito nella legge 23\12\1935, n. 2471 (contenente norme tecniche di edilizia con speciali prescrizioni per le località colpite dai terremoti), a prescrivere in tutti i Comuni l’obbligo di chiedere l’autorizzazione preventiva da parte di chi volesse svolgere attività edificatoria all’interno dei centri abitati ( art.4).

Coloro che intendessero eseguire nuove costruzioni ovvero modificare od ampliare quelle esistenti, dovevano richiedere al Podestà apposita autorizzazione, obbligandosi ad osservare le norme particolari dei regolamenti di edilizia e di igiene comunali.

In mancanza della autorizzazione o nei casi di violazione delle norme anzidette, il Podestà doveva ordinare la sospensione dei lavori e contro tale ordinanza era previsto ricorso al Prefetto, che decideva con provvedimento definitivo.

Qualora i lavori fossero proseguiti nonostante la disposta sospensione, il Podestà, con provvedimento definitivo, doveva ordinare la demolizione di quanto edificato a spese del contravventore.

L’obbligo di richiedere l’autorizzazione preventiva venne ribadito dall’articolo 6 del R.D.L. 22\11\1937, n.2105, convertito nella legge 25\4\1938, n. 710.


Fonti:

- Ricerca sull’urbanistica (Camera dei deputati, Segretariato generale), Roma, 1975, 17; D’ANGELO, Cento anni di legislazione urbanistica, in Atti del congresso celebrativo delle leggi amministrativeli unificazione. Le opere pubbliche. I lavori pubblici ( a cura di Sandulli A.M.), Vicenza 1967,433;CANNADA BARTOLI, Divagazioni sulla legge 28 gennaio 1977, n.10, in RGE, 1984,II 231;AMOROSINO,  Profili di storia istituzionale del governo del territorio in Italia, ivi 1981, II, 227

- LA BARBERA, L’attività amministrativa dal piano al progetto, I, Padova, 1990, 1 ss

1.3 Le principali fonti legislative

La vera storia della legislazione urbanistica in Italia ebbe però inizio soltanto con la legge 17 agosto 1942, n. 1150, approvata in tempo di guerra, nel totale disinteresse della nazione, ma ispirata ai modelli stranieri più progressisti e introducente una normativa giuridicamente e tecnicamente avanzata rispetto ai tempi.

A differenza della precedente legge del 1865, la legge urbanistica generale del 1942 non fece più distinzione tra piani di ricostruzione e piani di ampliamento, assoggettando – invece – a pianificazione tutto il territorio comunale, da suddividersi in zone funzionali differenti, in relazione alle destinazioni d’uso.

Si affermò, altresì, il principio che la definizione della destinazione d’uso dei terreni operata dal piano poneva implicitamente un limite alla loro utilizzazione da parte dei proprietari: sia qualitativo ( con riferimento alle diverse finalizzazioni) che quantitativo ( con riferimento ai diversi indici di edificabilità).

Anche questa nuova normativa, comunque – caratterizzata da una prevalente componente garantistica e vincolistica – relegava l’attività della Pubblica Amministrazione ad un ruolo di semplice controllo degli insediamenti edilizi, non riconoscendo alla stessa alcuna possibilità di azione promozionale nel campo urbanistico.

La legge del 1942 – che ancora oggi regola la materia urbanistica nei suoi aspetti più generali – introdusse nell’ordinamento italiano la distinzione fra due livelli di pianificazione dell’uso del suolo: quello riguardante i singoli aggregati urbani e quello avente ad oggetto più ampie porzioni di territorio.

Al primo livello si previde la redazione di piani regolatori generali, obbligatoria per i Comuni compresi in appositi elenchi approvati con decreto del Ministro per i Lavori Pubblici.

I Comuni non compresi negli elenchi suddetti erano tenuti, invece, ad includere nel regolamento edilizio un programma di fabbricazione, con l’indicazione dei limiti delle diverse zone urbane e dei relativi tipi edilizi.

Al secondo livello fu prevista la redazione di piani territoriali di coordinamento, per porzioni di territorio più ampie di quelle dei singoli centri abitati, individuate sempre dal Ministero dei Lavori Pubblici.

Fu prevista anche la redazione dei piani regolatori intercomunali, da formarsi quando, per le caratteristiche di sviluppo di più Comuni limitrofi, fosse apparso opportuno il coordinamento delle direttive riguardanti l’assetto urbanistico dei Comuni stessi.

Il piano regolatore generale, secondo l’originaria formulazione dell’art.7 della legge del 1942, doveva considerare la totalità del territorio comunale ed indicare sostanzialmente la localizzazione di opere ed impianti pubblici di interesse generale, le aree destinate a formare spazi di uso pubblico e la divisione in zone del territorio, con precisazione di quelle destinate all’espansione dell’aggregato urbano, nonché i caratteri e i vincoli di zona da osservare nell’edificazione.

La fase attuativa (secondo l’articolazione già adottata dal piano regolatore di Roma) venne affidata, invece, ai piani particolareggiati di esecuzione (la cui formazione, però, fu rimessa all’apprezzamento discrezionale dell’autorità comunale, senza definire gli strumenti ed il contesto indispensabile per garantire la reale applicazione del principio).

Compiuta disciplina trovò, infine, il rilascio della licenza edilizia (nuova denominazione dell’autorizzazione preventiva introdotta dal R.D.L.n.640­/1935) per le costruzioni da eseguirsi nei centri abitati.

La legge del 1942 presentava varie lacune e non era certamente immune da contraddizioni; ma essa venne addirittura travolta dall’opera di ricostruzione economica ed industriale del dopoguerra, che si svolse con una utilizzazione disorganica ed incontrollata del territorio, finalizzata esclusivamente al profitto ed alla speculazione fondiaria.

La normativa urbanistica generale, invero, invece di essere applicata su tutto il territorio nazionale al fine di razionalizzare l’intenso processo di urbanizzazione e di sviluppo edilizio in atto, venne accantonata con il pretesto che i tempi necessari per la sua sperimentazione non erano compatibili con l’urgenza dei problemi da affrontare.

Venne emanato, quindi, il D.L.27-10-1951, n.1042, che obbligò i Comuni compresi in un apposito elenco alla compilazione di un “piano di ricostruzione”, per la individuazione delle zone destinate a demolizione ed a ricostruzione e delle zone destinate a servizi, sia all’esterno che all’interno del perimetro edificato.
Detti piani dovevano avere valore di piano particolareggiato e validità quinquennale, rinnovabile con delibera comunale: la loro efficacia, invece, è stata prolungata fino al 31dicembre 1970, pur trattandosi (per lo più) di provvedimenti rafforzati, incentivanti una massiccia edificazione delle aree periferiche con incremento delle volumetrie edificabili a svantaggio di uno sviluppo di urbanistico razionale.

Un miglioramento venne apportato dalla legge 3-11-1952, n.1902, che disciplinò l’applicazione di misure di salvaguardia nel periodo intercorrente tra l’adozione comunale dei piani e l’approvazione ministeriale, al fine di evitare che l’assetto urbanistico previsto dagli strumenti adottati potesse essere compromesso da un rilascio incontrollato di licenze edilizie.

Agli inizi degli anni 60, con l’avvento del centro sinistra, il problema dell’urbanistica si pone con forza e si incentra soprattutto nella necessità di modificare il regime delle aree fabbricabili per rendere indifferenti i proprietari dei suoli rispetto alle scelte compiute dall’autorità pubblica.

Fioriscono varie proposte di riforma, che vanno da quella dell’INU, del dicembre 1960, ad una serie di disegni di legge presentati dai vari ministri dei lavori pubblici (Zaccagnini e Sullo del 1962, Pieraccini del 1964, Mancini del 1967).

Di questi ultimi il più famoso è quello “Sullo”, che affronta il problema delle aree edificabili attraverso:l’esproprio generalizzato da parte del Comune di tutte le aree comprese nei piani particolareggiati con la successiva cessione del diritto di superficie mediante asta pubblica; la determinazione dell’ indennità di esproprio in maniera diversificata per i terreni inedificati e per quelli edificabili; il divieto di ogni utilizzazione edilizia de aree dal momento dell’approvazione del piano regolatore fino all’approvazione dei piani particolareggiati.

Sul Progetto Sullo si aprono accese polemiche che portarono al definitivo abbandono del medesimo  e all’accantonamento per anni del problema della riforma urbanistica generale.

Contemporaneamente, peraltro,in sede dottrinaria, prende corpo il convincimento di poter sciogliere i nodi dell’urbanistica, non già attraverso la demanializzazione dei suoli ma attraverso la via meno traumatica di una nuova conformazione della proprietà.

Però se si esamina attentamente la legislazione speciale successiva si scopre che qualcosa di quel progetto penetra nella medesima.

Sembra confermare tale assunto la legge 18-4-1962, n.167 che nell’inserire i “piani di zona”  collega i programmi di edilizia abitativa pubblica alla pianificazione urbanistica, consentendo ai Comuni di acquisire le aree necessarie, sia per i servizi che per le abitazioni sulla base di previsioni di fabbisogno decennale (piani di edilizia economica e popolare).

Per la prima volta venne messa, così, in discussione, l’appropriazione privata della rendita fondiaria (in quanto il prezzo di esproprio venne correlato al valore delle aree di due anni prima dell’approvazione del piano) e venne legislativamente affermata la necessità di controllare la riproduzione della rendita stessa nel tempo, mantenendo alla collettività il controllo delle aree urbanizzate cedute ai privati per l’edificazione.

Questa forma di esproprio delle aree venne, però ritenuta illegittima dalla Corte Costituzionale e fu, quindi, sostituita dalla legge 21-7-1965,n. 904 che fissò il prezzo di esproprio come media tra il valore di mercato e la somma dei fitti nel decennio precedente.

Nel frattempo gli urbanisti esprimevano l’esigenza di una disciplina della utilizzazione del territorio ispirata ad un’effettiva giustizia sociale però la realtà dello sviluppo urbano rimase sempre affidata esclusivamente ai politici, che – per lo più ignorando l’effettiva portata dei problemi rimessi alle loro decisioni – si preoccuparono prevalentemente di non compromettere aderenze clientelari: le città crebbero quindi nel disordine, con progressivo depauperamento dei centri storici, soffocati da alienanti periferie informi.

Gli enti locali , invero, hanno sempre dimostrato una generale incapacità ad adottare un sistema adeguato di pianificazione e ciò ha contribuito in modo determinante al manifestarsi di condizioni abnormi in materia di rendite dei suoli urbani, alle quali hanno fatto seguito vistose sperequazioni tra i proprietari di aree e forti ripercussioni sul costo delle abitazioni, con gravi riflessi sullo stesso sviluppo economico e sociale del Paese.

I tentativi di procedere ad una integrale revisione della legislazione del 1942 approdarono, quindi, alla c.d. “legge ponte” del 6 agosto 1967, n. 765, che lo stesso legislatore presentò come normativa parziale e temporalmente limitata nella prospettiva di un’imminente, organica riforma urbanistica.
Gli aspetti essenziali di tale legge riguardano:

La legge n. 765 – approvata in seguito agli scandalosi fatti di Agrigento ( dove un intero quartiere della città crollò sotto il peso delle costruzioni abusive) ed in relazione alla denuncia di molti atti di corruzione amministrativa in varie altre città – superò poi le difficoltà di formazione dei piani particolareggiati, sostituendo alla dimostrazione di completa copertura finanziaria delle opere previste una semplice relazione di previsione di spesa e garantendo così ai Comuni la possibilità di creare vincoli di inedificabilità,  per dieci anni nelle zone destinate ad attrezzature.

La normativa in oggetto ebbe, inoltre, il pregio di introdurre per la prima volta il concetto della necessità di “standards minimi di servizi” e fissò severe norme di salvaguardia per il territorio non pianificato.

La legge del 1967 però – mediante la previsione di un anno “ di moratoria” – rilanciò artificiosamente l’attività edilizia privata e, poiché questa era svincolata da ogni controllo pubblico, favorì sostanzialmente la speculazione.

Le conseguenze furono disastrose: in soli due anni vennero portate a compimento tante costruzioni quante erano state precedentemente realizzate in un decennio e sulle Amministrazioni comunali ricadde l’onere di provvedere ad un rilevantissimo numero di opere urbanizzative primarie e secondarie.

Pochissime infrastrutture vennero eseguite dai comuni e la degradazione del territorio assunse dimensioni che non sembra esagerato definire drammatiche.

La Corte Costituzionale – orientata alla tutela prevalente degli interessi privatistici connessi al diritto di proprietà – con sentenza n. 55 del 9 maggio 1968 dichiarò costituzionalmente illegittimi, poiché in contrasto con gli articoli 3 e 42 della Costituzione, gli articoli 7 e 40 della legge del 1942, nella parte in cui non prevedevano un indennizzo per la imposizione, a tempo indeterminato di vincoli di inedificabilità assoluta per le aree destinate a servizi pubblici: aree di proprietà privata le quali, stante il vincolo, né potevano essere utilizzate dal proprietario in conformità del suo diritto a disporne, né potevano entrare subito in possesso dell’ente locale per la realizzazione dei servizi ( o perché l’ente stesso non disponeva del danaro per indennizzare l’esproprio oppure perché il proprietario interponeva opposizione giudiziaria).

Il vincolo diventava quindi, in pratica, a tempo indeterminato, senza indennizzo e perciò costituzionalmente illegittimo.

A tale decisione della Corte Costituzionale fece seguito la legge 19 novembre 1968 n. 1187, con cui venne stabilito che i vincoli in oggetto avrebbero perso efficacia qualora entro, cinque anni dalla data di approvazione del piano regolatore generale, non fossero stati approvati i relativi piani particolareggiati od autorizzati i piani di lottizzazione convenzionati; per i piani regolatori approvati anteriormente alla data di entrata in vigore della legge, il termine su indicato decorreva da detta data.

Alla scadenza dei cinque anni previsti dalla legge 1187\1968, però, la situazione non era mutata; si ricorse allora, con la legge 30 novembre 1973, n. 756 (definita legge tampone), ad una ulteriore proroga di due anni del regime vincolistico, con l’impegno da parte del Governo ad emanare una legge – cornice in base alla quale le regioni potessero legiferare in materia urbanistica e sulla edificabilità dei suoli.

Il trenta novembre  1975, scaduta la proroga del 1973, gli enti locali rischiavano di trovarsi nell’alternativa di dover indennizzare i proprietari di aree vincolate oppure di rendere di nuovo disponibili quei terreni per l’edificabilità , adottando varianti ai piani regolatori che avevano assoggettato a vincolo quelle aree prevedendone la destinazione d’uso.

Del dissesto urbanistico che sarebbe seguito si può avere un’idea qualora si pensi che dal 1968, in tutti  i Comuni italiani erano stati bloccati con i vincoli di inedificabilità circa 350 milioni di metri quadrati di aree, che – se resi nuovamente disponibili per costruire – avrebbero comportato un disastroso incremento di residenze prive di servizi pubblici e di verde.

Nell’imminenza della scadenza della seconda legge tampone, sembrava che i politici si dedicassero a riordinare equamente la materia.

Una volta di più però, l’attesa andò delusa: con il D.L. 29 novembre 1975, n. 562, convertito nella legge 22 dicembre 1975, n. 696, venne approntato un nuovo “tampone” destinato a prorogare fino al 31 dicembre 1976 gli illegittimi vincoli.

Nulla si stabilì, invece, in ordine all’indennizzo dei vincoli medesimi.

Un ulteriore proroga, fino al 31 gennaio 1977, venne stabilita col D.L. 26 novembre 1976, n. 781, convertito nella legge 24 gennaio 1977 n.6.

Era stata promulgata, intanto, la legge 22 ottobre 1971, n. 865, detta “di riforma della casa”, che previde la possibilità di esproprio di suoli nell’ambito dei c.d. “piani di zona”, limitando l’indennizzo al solo prezzo di valore agricolo degli stessi.

L’edificazione di alloggi popolari da parte delle imprese e cooperative, venne altresì subordinata alla stipulazione di un’apposita convenzione con l’ente locale volta a disciplinare, oltre al pagamento della concessione del diritto di superficie e delle opere di urbanizzazione, i criteri per la determinazione e la revisione periodica dei canoni di locazione, nonché per la determinazione del prezzo di cessione degli alloggi.

A tale legge seguì il trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrativa statali in materia urbanistica e di viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale ( e dei relativi uffici e personale) operato con il D.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8.

Rimaneva allo Stato una funzione di indirizzo e di coordinamento delle attività regionali, per la salvaguardia di esigenze di carattere unitario.

Il D.P.R. n. 8 del 1972, infatti, riservava agli organi statali l’identificazione delle “linee fondamentali dell’assetto del territorio”, ed il D.P.R. 27 luglio 1977, n. 616 ribadiva tale riserva “con particolare riferimento all’articolazione territoriale degli interventi di interesse statale e alla tutela ambientale ed ecologica del territorio, nonchè alla difesa del suolo”.

Anteriormente alla modifica del titolo V (art.117) della Costituzione, con legge Costituzionale n.3\2001, il conferimento alle Regioni di funzioni e compiti amministrativi in tema di “territorio e urbanistica”, era disciplinato dagli articoli 51 e segg del D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, in attuazione della delega conferita al Governo dalla legge 15 marzo 1997, n. 59 (c.d. legge Bassanini), ed il D.Lgs. n. 112\1998, nel vecchio articolo 117, affidava testualmente alle Regioni a statuto ordinario, in materia urbanistica, potestà legislativa concorrente, da svolgersi nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato ed in maniera da non contrastare con l’interesse nazionale e con quello delle altre Regioni.

Dopo le modifiche apportate al Titolo V della Costituzione dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.3, il novellato articolo 117 suddivide la potestà legislativa tra lo Stato e le Regioni attraverso la individuazione di tre ambiti diversi:

È stato capovolto così, il criterio precedente seguito, che specificava ed elencava soltanto le materie di competenza regionale, e si è passati all’opposto criterio della enumerazione delle materie di competenza statale, mentre alle Regioni è stata conferita un competenza legislativa esclusiva di carattere generale (sia pure residuale).
La potestà legislativa esclusiva dello Stato non si esplica più, pertanto, come nel regime previdente, in qualsiasi ambito oggettivo che non risulti attribuito alla competenza del legislatore regionale, ma potrà essere esercitata al contrario, esclusivamente a quelle materie espressamente elencate dalla norma costituzionale (tra esse deve ricordarsi quella relativa alla “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, che comunque può venire attribuita alla competenza, anche esclusiva, di singole Regioni che ne facciano apposita richiesta, nei modi di cui all’articolo 116, 3° comma).

Negli ambiti delimitati dall’articolo 117 Cost. con tecnica elencativi (riservati, come si è detto alla potestà legislativa, esclusiva e concorrente dello Stato) non è più menzionata la materia dell’urbanistica, né si fa cenno a quella dell’edilizia.

Viene ricompresa, invece, tra le materie oggetto di legislazione regionale concorrente, quella attinente al governo del territorio.
Secondo le attuali previsioni costituzionali, pertanto:

Si pone, conseguentemente, la necessità di individuare il rapporto tra le materie “Urbanistica”ed “Edilizia”e la materia “Governo del territorio”,essendo possibile, in proposito differenti indirizzi interpretativi secondo i quali le prime due materie:

Insoluti rimanevano, comunque, i grandi problemi connessi con l’ordinato sfruttamento del suolo ed indifferibile appariva l’esigenza di una responsabile riforma urbanistica che fosse in grado di arginare in qualche modo la speculazione sulle aree di espansione urbana, nonché l’irrazionale e distorta utilizzazione del territorio.
Scopo primario di detta riforma doveva essere, anzitutto l’eliminazione di un ingiusto dualismo tra il regime pubblico (finalizzato all’esproprio) ed il regime privato delle aree fabbricabili, causa di una inammissibile disparità di trattamento.

Si giunse così alla legge 28 gennaio 1977, n. 10 ( c.d. legge Bucalossi), che sostituì la licenza edilizia con la concessione.

Nell’assetto originario della legge 17\8\1942, n. 1150 il controllo pubblico delle attività costruttive dei privati era demandato alla licenza edilizia, strumento attraverso il quale l’amministrazione accertava la conformità del progetto rispetto alla normativa edilizia.

Tale istituto era gratuito e non riguardava tutto il territorio comunale, ma essenzialmente il centro urbano, con riferimento alla mera disciplina edilizia ed al controllo della sola attività edificatoria, in una prospettiva di corretta espansione dell’aggregato urbano medesimo.

Soltanto con la legge 6\8\1967, n. 765 venne imposto l’obbligo della pianificazione urbanistica di tutto il territorio e la necessità della licenza edilizia venne estesa appunto a tutto il territorio comunale, in una nuova ottica di correlazione della programmazione coacervo dei complessi rapporti e delle interdipendenze che si creano e si sviluppano tra tutte le attività suscettibili, in modo diretto o indiretto, di produrre modificazioni territoriali, allo scopo di guidarne l’evoluzione verso gli obiettivi e gli equilibri voluti.

L’articolo 1 della legge Bucalossi introdusse nel nostro ordinamento l’istituto della concessione edilizia, sostituendolo a quello della licenza edilizia, per tutte le attività comportanti la trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale.

Venne prescritto, inoltre, che tali attività di trasformazione del territorio dovessero partecipare agli oneri ad esse relativi, assoggettandole al pagamento di un contributo commisurato all’incidenza delle spese di urbanizzazione ed al costo di costruzione dell’opera.

La prima lettura di questa norma – tenuto conto delle dichiarazioni d’intento del legislatore – condusse parte della dottrina ad affermare che il sistema introdotto dalla legge Bucalossi aveva sancito la scissione definitiva dello “ius aedificandi” dal diritto di proprietà, trasformando la licenza edilizia, da “autorizzazione” rilasciata come riconoscimento dell’esercizio di un diritto del proprietario del suolo, in “concessione” del diritto (appartenente alla collettività) di operare le trasformazioni richieste: l’Amministrazione, cioè, avrebbe conferito al privato qualcosa che esso prima non aveva.

Altri Autori affermarono – al contrario – che la “concessione di costruire” costituiva una innovazione soltanto nominalistica, una “etichetta” apposta ad una realtà giuridica immutata ed ancorata alla precedente normativa.

Detto contrasto interpretativo venne, però, superato in seguito all’intervento della Corte Costituzionale che – con la sentenza n. 5 del 30 gennaio 1980 ( che dichiarò l’illegittimità del sistema di determinazione degli indennizzi di esproprio configurato dalle leggi n. 865\1971 e 10\1977) – affermò che “il diritto di edificare continua ad inerire alla proprietà” (o alle altre situazioni che comprendono la legittimazione a costruire). Secondo la Corte è vero che il sistema normativo che disciplina l’edificabilità dei suoli demanda alla pubblica autorità ogni determinazione sul se, sul come e sul quando edificare, ma la concessione edilizia – non essendo attributiva di diritti nuovi presupponeva facoltà preesistenti ed adempiva all’identica funzione dell’antica licenza edilizia, avendo lo scopo di accertare l’esistenza delle condizioni previste dalla legge per l’esercizio del diritto, nei limiti in cui l’ordinamento ne riconosce e tutela la sussistenza.

Risultavano, tuttavia, “compressi e limitati portata e contenuti” del diritto di edificare, “ nel senso che l’avente diritto può solo costruire entro i limiti, anche temporali, stabiliti dagli strumenti urbanistici”.

Venne ribadito e rafforzato, in tal modo, il principio che il provvedimento di legittimazione de, privato a costruire (come rilevato dalla stessa Corte Costituzionale) non era più limitato ad un controllo puramente edilizio, e quasi morfologico, riferito ai singoli elementi dell’agglomerato urbano, ma si rapportava alle previsioni degli strumenti urbanistici in una valutazione complessiva delle relazioni tra tutti gli elementi della città e del territorio ( c.d. definizione dello statuto urbanistico dell’opera).
Difficile apparve subito una precisa classificazione giuridica del provvedimento definito “concessione edilizia”:

Le maggiori perplessità derivavano dalla mancata attribuzione alla concessione edificatoria di alcune caratteristiche tipiche delle fattispecie concessorie, quali la discrezionalità della pubblica amministrazione, la revocabilità, la rilevanza dell’”intuitus personae”.
Tali caratteristiche, infatti, non era dato rinvenire nella concessione edilizia: atto dovuto in conformità delle previsioni urbanistiche, irrevocabile e trasferibile unitamente alla proprietà dell’area.
La “dovutezza”del titolo che abilita a costruire, comunque, doveva e deve essere valutata nel contesto dell’intero procedimento di pianificazione del territorio, per cui il controllo sull’attività edilizia:

Il T.U. n.380\2001 definisce permesso di costruire il provvedimento legittimante le trasformazioni urbanistiche ed edilizie, superando ( sotto il profilo lessicale) le questioni di classificazione dianzi accennate.

Il Consiglio di Stato, in proposito aveva suggerito di “adottare un termine che per un verso non denoti una recessione del diritto del proprietario e che per converso non disconosca la funzione sociale del diritto ad edificare, affermata dalla Costituzione.

Un termine, cioè, che lasci intendere che lo ius aedificandi non discende dall’autorità che lo concede essendo connaturato alla proprietà ( o diritto equipollente), ma che al tempo stesso non revochi in dubbio che quel diritto è sottoposto nell’interesse comune e per la salvaguardia di valori superiori, a un regime di governo e controllo amministrativo, ancorché significativamente snellito e semplificato dalle riforme introdotte”.

La qualificazione giuridica dell’atto non si ricollega, comunque, alla mera definizione lessicale, dovendo piuttosto correlarsi alla funzione che esso svolge ed alla natura degli interessi alla cui realizzazione è rivolto.

Deve porsi in rilievo, pertanto, che il permesso di costruire ripete i propri caratteri distintivi dalla normativa urbanistica e – continuando ad avere come presupposto le scelte discrezionali confluite nella pianificazione urbanistica- costituisce momento di accertamento e di attuazione del dimensionamento in concreto del potere edificatorio e di uso del territorio sotto il profilo tecnico e con l’apporto partecipativo del privato proprio al fine di realizzare compiutamente le scelte degli strumenti  urbanistici.

Alla legge sulle edificabilità dei suoli fece seguito la legge 5 agosto 1978, n. 457 ( c.d. Piano decennale per l’edilizia), che fornì un quadro organico dei poteri delegati alle Regioni per la programmazione dell’edilizia sia nuova che di recupero, con erogazione dei finanziamenti sulla base dei fabbisogni espressi dalle stesse Regioni attraverso i programmi decennali, articolati sul piano finanziario in quadrienni e suscettibili di revisione.

Tale legge ripartì gli interventi per l’edilizia agevolata, convenzionata e sovvenzionata e stanziò contributi per l’acquisizione e l’urbanizzazione delle aree residenziali, prevedendo – altresì – l’emanazione di una nuova normativa tecnica nazionale rivolta a collegare i meccanismi di finanziamento alla qualità dei beni edilizi prodotti.
Ridusse pure l’impiego dei procedimenti di esproprio a fini urbanistici, allo scopo di favorire l’accordo tra i poteri pubblici ed i proprietari di immobili da conservare a valorizzare, incentivando l’iniziativa economica privata.

La legge n. 457\1978 definì le tipologie degli interventi edilizi (manutenzione ordinaria e straordinaria – restauro e risanamento conservativo – e – ristrutturazione edilizia ed urbanistica ed affermò per la prima volta l’esigenza di accelerare il procedimento formativo dell’atto di consenso comunale alle trasformazioni minori, sottraendo altresì le stesse ad ogni contributo del privato.

Le opere di manutenzione straordinaria, pertanto, (purchè non eseguite su edifici soggetti a vincolo storico – artistico o paesistico), vennero sottratti al regime concessorio ed assoggettate a mera autorizzazione gratuita, da ritenersi accordata in ipotesi di mancata risposta del Sindaco nel termine di novanta giorni dalla domanda.

Fu questa la prima fattispecie legislativa di silenzio – assenso della P.A. in materia urbanistica.

Rilevanti innovazioni alla disciplina generale vennero introdotte dal D.L.23 gennaio 1982, n. 9 (c.d. “decreto Nicolazzi”), convertito – con modificazioni – dalla legge 25 marzo 1982, n. 94.

Questa normativa, per quanto attiene alla materia urbanistica, esonerò dall’obbligo di dotarsi di programmi pluriennali di attuazione i Comuni con popolazione fino a diecimila abitanti e previde altre particolari ipotesi di interventi edilizi eseguibili a seguito di “autorizzazione gratuita” del Sindaco, estendendo ad esse l’applicazione dell’istituto del silenzio assenso.

L’articolo 31 della legge n. 1150\1942, in relazione alla procedura di rilascio della licenza edilizia, prevedeva che il silenzio dell’Amministrazione, una volta decorso il termine di 60 giorni dalla presentazione della domanda, assumesse significato e qualificazione di silenzio – rifiuto, impugnabile dai soggetti interessati davanti al giudice amministrativo.

L’articolo 8 del D.L. 23 gennaio 1982, n.9, convertito con modificazioni nella legge 25 marzo 1982, n.94, però – al fine di ovviare all’inerzia dei Comuni nella delibazione delle istanze concessorie – introdusse procedure semplificate in virtù delle quali sussistendo determinate condizioni, il silenzio veniva considerato non già come un rifiuto bensì come assentimento della domanda (silenzio – assenso).

L’innovazione non aveva efficacia retroattiva e non era estensibile, quindi, alle situazioni pregresse.

L’applicabilità di tali procedure era limitata agli intervati edilizi da realizzare:

Nel nostro ordinamento vige il principio generale secondo cui la P.A. ha il dovere di concludere ogni procedimento amministrativo, nei tempi previsti dalla legge, con un atto espresso.

In alcuni casi particolari, tuttavia, se la P.A. non si pronuncia nel termine, il suo silenzio non equivale al rifiuto di provvedere ma viene equiparato quanto agli effetti ad un provvedimento di assenso.

Tali casi particolari sono tassativamente indicati dalla legge: il silenzio assenso, infatti – a differenza  del silenzio-rifiuto – è un istituto di origine legislativa e non giurisprudenziale la cui applicazione eccezionale trova conferma negli articoli 2 e 20 della legge 7\8\1990 n. 241 ( per la “semplificazione dell’azione amministrativa”).

Il Consiglio di Stato ( sez.V, 9 marzo 1985, n. 148) ha operato una sottile differenziazione terminologica, distinguendo tra:

Al di là della terminologia, comunque, il fenomeno è sostanzialmente unitario quanto agli effetti.

Contrastanti sono le posizioni della dottrina circa l’individuazione della natura giuridica dell’istituto:

Il regime del silenzio – assenso previsto dall’articolo 8 del D.L. 23\1\1982, n. 9, convertito nella legge n. 94\1982, può così delinearsi:

L’ambito di applicazione dell’istituto del silenzio-assenso previsto dall’art.8 del D.L.n.9/1982 era pertanto limitato: agli interventi su aree dotate di piani attuativi (vigenti) approvati non anteriormente all’entrata in vigore della legge 6-8-1967,n.765 (che coincide con la data del 1° settembre 1967); nonché alle ipotesi  nelle quali la concessione (o l’autorizzazione) fossero atti dovuti in forza di strumenti urbanistici generali approvati dopo l’entrata in vigore della medesima “legge-ponte”.
In mancanza di un piano attuativo operativo, dunque, il legislatore aveva consentito la possibilità di formazione del silenzio-assenso solo in quei casi in cui il piano generale non richiedeva la necessità di uno strumento applicativo e poteva essere direttamente attuato con concessioni singole.

In tale prospettiva la concessione veniva considerata quale “atto dovuto” per gli interventi da eseguire in zone già largamente edificate e dotate delle necessarie opere di urbanizzazione (aree di completamento dotate di opere di urbanizzazione primaria collegate funzionalmente con quelle comunali).

La giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che, anche per la formazione del silenzio-assenso, l’esistenza di uno stato di sufficiente urbanizzazione potesse considerarsi equivalente all’operatività di uno strumento urbanistico attuativo, ravvisando la necessità della pianificazione esecutiva soltanto ove si trattasse di asservire per la prima volta un’area non ancora urbanizzata ad un insediamento edilizio.

Il Consiglio di Stato, però, ha circoscritto l’equivalenza tra pianificazione urbanistica di dettaglio ed evidente stato di urbanizzazione della zona alle sole ipotesi in cui la tipologia di opere di urbanizzazione esistenti risulti conforme agli standards urbanistici nel senso di assicurare il rispetto dei rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici destinati ad attività collettive, a parcheggi e verde pubblico, fissati con il D.M.16-4-1968 in attuazione dell’art.41quinquies,8°co., della legge n.1150­/1942.

La giurisprudenza amministrativa si è orientata nel senso di limitare la possibilità di applicazione del silenzio-assenso esclusivamente agli interventi di edilizia residenziale abitativa, diretti alla costituzione di abitazioni o al recupero del patrimonio edilizio esistente.

In relazione alle domande di concessione per interventi di natura diversa (edificazione anche abitativa in zona agricola, manufatti destinati ad attività commerciale,depositi, autorimesse, residenze secondarie in zone turistiche) poteva formarsi, pertanto, solo il silenzio-rifiuto di cui all’art.19 della legge n.765/1967.
Il Consiglio di Stato, comunque, ha affermato in proposito che “sono riconducibili nell’ambito dell’edilizia residenziale anche gli immobili destinati a tutte quelle attività sussidiarie e integrative che sono indispensabili all’ordinato e civile vivere di una popolazione”. 
Il silenzio -  assenso in materia di concessioni edilizie non ha mancato di suscitare critiche severe in dottrina in quanto destinato ad allentare incongruamente il controllo dell’ente pubblico sull’attività costruttiva privata.
Sensale lo considera “discutibile”, rilevando che esso, “nel riprodurre automaticamente i contenuti dell’atto di iniziativa, finisce col privilegiare l’interesse del richiedente rispetto a quello degli altri interessati coinvolti”.
La decretazione di urgenza, comunque – a partire dal D.L. 8\4\1993, n. 101 – aveva continuato a specificare la procedura dell’assentimento silenzioso, configurando l’istituto in termini generali, senza quelle limitazioni (sia di oggetto sia temporali) che caratterizzavano le previsioni della legge n. 94\1982, e ciò fino al D.L. 5\10\1993, n.398.
In sede di conversione di quest’ultimo decreto (dopo che gli altri erano decaduti ed erano stati sostituiti) il legislatore però, cambiò improvvisamente orientamento e, con l’art. 4 della legge 4\12\1993, n. 493, cancellò l’istituto, sancendo il ritorno alla regola generale della concessione espressa con eventuale nomina di un commissario ad acta per lo svolgimento della necessaria istruttoria e l’emanazione del provvedimento formale.

Un effimera “resurrezione” della procedura del silenzio assenso si ebbe con il D.L. 26\7\1994, n. 468, non convertito e sostituito con i D.D.L.L. n. 551\1994 e n. 649\1994; ma il D.L. 26\1\1995, n.24 ripudiò nuovamente l’istituto e tale ripudio venne confermato dalla legge n. 662\1996.

L’articolo 2 60°co, della legge n.662\1996 introdusse il comma 18 nel testo dell’articolo 4 della legge n. 493\1993, a norma del quale “le Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano adeguano le proprie normazioni ai principi contenuti nel presente articolo in tema di procedimento”, con prescrizione estesa, quindi anche all’ambito di operatività del silenzio assenso come disciplinato non soltanto nelle Regioni ordinarie, ma anche in quelle a statuto speciale e nelle Province autonome.

L’articolo 10, 7°co, della legge 28\2\1997, n.30 ( di conversione del D.L.31\12\1996 n. 669, recante disposizioni urgenti a completamento della manovra di finanza pubblica per l’anno 1997) soppresse nel testo normativo anzidetto, le parole “e le Province autonome di Trento e di Bolzano”.

La Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, però aveva già proposto questione di legittimità costituzionale (con ricorso notificato il 24 gennaio 1997), eccependo la lesione della propria competenza statutaria in materia urbanistica (tenuto conto che l’articolo 84 della legge regionale 19\11\1991, n. 52, recante “Norme regionali in materia di pianificazione territoriale ed urbanistica”, stabilisce che la domanda di concessione o autorizzazione edilizia si intende accolta qualora entro 90 giorni non sia stato comunicato il provvedimento motivato con cui viene negato il rilascio della medesima), in quanto “le disposizioni relative all’espunzione dall’ordinamento statale del silenzio – assenso e la contestuale previsione dell’obbligo di emanazione della legislazione di adeguamento non attingono al valore di norme fondamentali di riforma economico – sociale, tali da comportare un onere di adeguamento da parte delle Regioni  a statuto speciale, potendo al più essere qualificate quali principi fondamentali della materia, inidonei a vincolarle”.

La Corte Costituzionale con la sentenza 18 luglio 1997, n. 241, in C. Stato, 1997, II, 1097 – rilevò che le norme statali poste in ambito procedimentale dalla legge n. 662\1996, pur non avendo alcun effetto abrogativo della preesistente disciplina regionale nella materia, hanno tuttavia comportato per le regioni a statuto speciale e per le Province autonome un obbligo generico ed indiscriminato  di adeguamento ad esse, con una sostanziale non consentita parificazione della diversa potestà legislativa esclusiva di tali enti a quella delle Regioni a statuto ordinario.

La Consulta dichiarò, pertanto, la illegittimità costituzionale del comma 18 dell’articolo 4 della legge n.493\1993 (introdotto dall’articolo 2, co 60, della legge 662\1996) “limitatamente alla parte in cui prevede l’obbligo di adeguamento anche per le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano”, non avvedendosi, però, che la statuizione ritenuta illegittima era stata frattanto modificata dalla legge n.30\1997.

L’articolo 136 del T.U. n. 380\2001 ha espressamente abrogato sia l’articolo 8 del D.L.n.9\1982 sia l’articolo 4 della legge 493\1993 e succ.modif..

Deve concludersi che l’abrogazione, con norma statale, del silenzio assenso nella procedura di rilascio della concessione edilizia non ha comportato l’abrogazione delle vigenti normative che disciplinano tale istituto nelle Regioni a statuto ordinario e speciale. L’obbligo di adeguamento alla normativa statale riguarda soltanto le regioni a Statuto ordinario ed in esse la previsione dell’intervento sostitutivo del commissario ad acta di nomina regionale è immediatamente operativa solo qualora le rispettive normative non prevedano e disciplinino il diverso regime del silenzio – assenso (in tal caso detto regime resterà in vigore finchè esse non si adegueranno alla nuova disciplina statale in materia).

Il silenzio – assenso può formarsi altresì sulle istanze di condono edilizio a norma dell’articolo 39 della legge 23\12\1994, n.724.

Ritornando al nostro excursus legislativo, negli anni 80, l’abusivismo edilizio dilagava e le macroscopiche dimensioni del fenomeno prospettavano la necessità del recupero e della sanatoria delle opere illegittimamente realizzate.

Una disciplina organica della materia – dopo il fallimento di alcune iniziative legislative venne fornita dalla legge 28 febbraio 1985, n. 47, entrata in vigore il successivo 17 marzo.
Il capo quarto della legge in oggetto regolamentò le procedure di sanatoria delle opere abusivamente realizzate fino al 1° ottobre 1983 e venne altresì prevista l’adozione di varianti agli strumenti urbanistici finalizzate alla sanatoria (capo III).

Attraverso le nuove norme, inoltre:

Modifiche alla legge n.47\1985 furono apportate dal D.L.146\1985 (convertito nella legge 21\6\1985, n.298) e dal D.L.656\1995 (convertito nella legge 24\12\1985, n.780).

Il Governo ritenne, quindi, di introdurre ulteriori innovazioni alla normativa in materia di condono edilizio attraverso il reiterato ricorso alla decretazione di urgenza: vennero così emanate ben otto successivi decreti legge (D.L. 76\86; D.L.605\86; D.L.823\86;D.L.71\87; D.L.178\87;D.L.264\87;D.L.367\87; D.L.458\87) che non conseguirono la tempestiva ratifica da parte del Parlamento.

La Corte Costituzionale espresse una ferma censura contro siffatto abuso e tale autorevole e deciso intervento indusse le Camere ad approvare con sollecitudine la legge 13 marzo 1988, n.68 che convertì con modifiche il D.L.12\1\1988, n.2 (ennesimo decreto “di adattamento” delle norme di sanatoria).

La legge 8 giugno 1990,n. 142 – che ha dettato nuovi principi dell’ordinamento dei Comuni e delle Province, determinandone le funzioni – apportò importanti novità concernenti le competenze degli enti locali in materia di gestione del territorio e di urbanistica, tra le quali vanno ricordate:

La necessità di risanare la situazione economica del Paese portò essenzialmente, poi, alla previsione di un secondo condono edilizio attraverso il D.L. 26-7-1994, n. 468.

Nella relazione di accompagnamento si affermò che si era voluto perseguire lo scopo “ di porre finalmente ordine in un settore che fra norme intruse, provvedimenti occasionali e stratificazione di istituti, è stato ridotto in una situazione pressochè totale di paralisi al punto che le pratiche relative al condono edilizio del 1985 sono ancora in corso di trattazione per circa il 90 per cento dei casi”.

Si proclamò solennemente, altresì che “se si vuole evitare che riprendano in maniera diffusa fenomeni di abusivismo e venga portato a ulteriori livelli inaccettabili lo scempio dell’ambiente e del patrimonio artistico e culturale nel paese, occorre intervenire immediatamente, senza indugio alcuno, ponendo un punto fermo e invalicabile che impedisca e vanifichi qualsiasi intento speculativo, contribuendo nel contempo ad eliminare le zone d’ombra e la farraginosità del sistema che oggettivamente favoriscono l’insorgere del fenomeno dell’abusivismo”.

Lo scopo fondamentale della nuova sanatoria, però, fu proprio quello ri rimpinguare le casse dell’Erario senza ricorrere all’imposizione di ulteriori oneri tributari.
La disciplina fondamentale venne posta attraverso il richiamo ai capi IV e V della legge n.47\1985, ma furono apportate rilevanti modifiche ed integrazioni.
La sanabilità venne riferita alle opere ultimate( o interrotte a seguito di un provvedimento amministrativo o giurisdizionale) entro il 31 dicembre 1993, non eccedenti una volumetria di 750 metri cubi o al 30 per cento dell’opera legittima ampliata).

Venne, però, riconosciuta la possibilità di sanatoria anche per costruzioni imponenti, attraverso il concorso di più domande presentate da soggetti diversi, ed il termine per la presentazione venne definitivamente fissato al 31 marzo 1995.

La sanatoria ( qualora l’oblazione dovuta sia determinata in modo veritiero e venga interamente corrisposta unitamente al contributo concessorio) si intende concessa ( per silenzio- assenso con il decorso del termine di un anno elevato a due anni per i Comuni  con popolazione superiore a 500000 abitanti, decorrente dal 1° gennaio 1997.

Il silenzio assenso, dunque, continua a vivere per le domande di condono.

La Corte Costituzionale – con la sentenza n. 416 del 21 \28 luglio 1995 – ha avuto occasione di precisare i limiti di costituzionalità delle sanatorie in materia edilizia.
Ha affermato, in proposito, la Corte che l’articolo 39 della legge n. 724\1994 è legittimo poiché rappresenta una risposta “del tutto eccezionale”, che soddisfa “straordinarie ragioni finanziarie e di recupero della base impositiva” e pone rimedio ad un fenomeno diffuso, reso possibile dalla insufficiente “ incisività e tempestività dell’azione di controllo e di repressione degli enti locali e delle regioni”.

La Corte, però, ha avvertito che “ben diversa sarebbe la situazione in caso di reiterazione di una norma del genere e soprattutto di ulteriore e persistente spostamento dei termini temporali di riferimento del commesso abusivismo edilizio”.

In tal caso ben altre sarebbero “le valutazioni sul piano della ragionevolezza, venendo meno il carattere eccezionale con le peculiari caratteristiche della singolarità e ulteriore irripetibilità”: più ancora della rinuncia a reprimere e sanzionare i comportamenti illegali, sarebbe imperdonabile, infatti, la rinuncia “alla tutela del territorio e dell’ambiente in cui vive l’uomo”.

Attraverso la decretazione di urgenza succedutasi a decorrere dal D.L. n. 468\1994 erano state pure apportate significative innovazioni al regime delle trasformazioni edilizie ed urbanistiche del territorio fra le quali vanno ricordate:

La Corte Costituzionale però – con la sentenza n. 360 del 24 ottobre 1996 – ha finalmente affermato in modo netto l’incompatibilità con l’articolo 77 della Costituzione della ormai dilagante prassi di incondizionata reiterazione dei decreti – legge.

La Consulta ha escluso, pertanto, che in caso di mancata conversione il governo possa riprodurre, con un nuovo decreto il contenuto normativo dell’intero testo o di singole disposizioni del decreto non convertito, ove il nuovo provvedimento non risulti fondato su autonomi ( e pur sempre straordinari) motivi di necessità e di urgenza, motivi che, in ogni caso, non potranno essere ricondotti al solo fatto del ritardo conseguente dalla mancata conversione del precedente decreto.

Un ulteriore intervento governativo, quindi, non potrà porsi in un rapporto di continuità sostanziale con il decreto non convertito ma dovrà essere caratterizzato da contenuti normativi sostanzialmente diversi ovvero da nuovi presupposti giustificativi di natura straordinaria.

Decaduto così il D.L.495\1996 (l’ultimo dell’incredibile serie che ci riguarda), la legge 23 dicembre 1996, n.662, collegata alla legge finanziaria per il 1997, oltre a specificare ulteriormente la disciplina del condono delle costruzioni abusive, costituì l’occasione per ribadire le norme procedurali già poste in materia di rilascio della concessione edilizia e per modificare il procedimento di denuncia dell’inizio di attività ,che non sostituiva più il regime autorizzatorio ma ad esso veniva affiancato con discutibile scelta di ordine sistematico e pratico.

Vennero espressamente fatti salvi gli effetti delle precedenti disposizioni.

1.4 Semplificazione amministrativa, riforme Costituzionali e Testo Unico dell'edilizia

E’ proprio in relazione alla denuncia di inizio attività, che si evince uno dei profili più significativi delle innovazioni e semplificazioni apportate  dal T.U., n. 380\2001 in materia edilizia riguardanti la soppressione dell’autorizzazione edilizia.

Detto T.U. ha ridotto, a soli due, i titoli abilitativi.

Questa semplificazione ha tenuto conto del punto di arrivo dell’evoluzione legislativa: il sistema già vigente, infatti, per effetto delle tante modifiche succedutesi nel tempo, operava una fondamentale distinzione tra gli interventi rilevanti sotto il profilo urbanistico ed edilizio, per i quali si riteneva necessario mantenere un più pregnante controllo preventivo da parte dell’amministrazione comunale ed interventi edilizi minori per i quali tale controllo era attenuato.

Il quadro risultante era, dunque, quello di una varietà di atti legittimanti, ciascuno dei quali costituente titolo per una o più tipologie specifiche di intervento edilizio.

La riconduzione a sistema, imposta dal riordino sostanziale della materia, ha condotto a circoscrivere a due i titoli legittimanti in ragione del tipo di intervento e ad assorbire in essi ciò che rimaneva degli altri.

A tal fine sono stati anzitutto individuati gli interventi che realizzano una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, da sottoporre perciò al previo rilascio del permesso di costruire; per gli interventi edilizi minori, che una tale trasformazione non comportano, il titolo legittimante è stato invece individuato nella denuncia di inizio attività.

All’interno della legislazione più recente, la “riforma Bassanini” assume un’ importanza fondamentale per ciò che riguarda la delegificazione e la semplificazione dei procedimenti amministrativi.

La legge 15 maggio 1997, n. 127 (cd Bassanini – bis), all’articolo 6, co 2, ha modificato l’articolo 51 della legge n. 142\90 assegnando ai dirigenti degli enti locali la competenza a rilasciare le concessioni e le autorizzazioni edilizie ( nonché analoghi provvedimenti concessori ed autorizzatori la cui emissione presupponga valutazioni anche di natura discrezionale, nel rispetto dei criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti e da atti generali di indirizzo).

Agli stessi dirigenti spetta, conseguentemente, l’assunzione degli atti di autotutela (revoca, annullamento d’ufficio, decadenza ecc) dei provvedimenti da essi emanati.
La competenza dei dirigenti è stata ulteriormente estesa, dall’articolo 2,co12, della legge 16 giugno 1998, n. 191 ( Bassanini – ter), a “tutti i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale, nonché ai poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione delle sanzioni amministrative previsti dalla vigente legislazione statale e regionale in materia di prevenzione e repressione dell’abusivismo edilizio e paesaggistico ambientale.”

L’articolo 20 della legge Bassanini,  n.59\1997, come modificato dalla legge 16\6\1998, n.191, dispone che il Governo, entro il 31 gennaio di ogni anno presenti al Parlamento un disegno di legge per la delegificazione – mediante appositi Regolamenti – di norme concernenti procedimenti amministrativi, anche coinvolgenti amministrazioni centrali, locali o autonome.

Tali Regolamenti, finalizzati alla semplificazione dei procedimenti stessi, sono emanati con decreto del Presidente della Repubblica, in seguito a deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio di concerto con il Ministro  competente , previa acquisizione del parere delle competenti commissioni parlamentari e del Consiglio di Stato e, dal momento in cui essi entrano in vigore, restano abrogate le norme, anche di legge, che in precedenza regolavano i  procedimenti che ne costituiscono l’oggetto.

I Regolamenti medesimi devono conformarsi ai seguenti criteri e principi:

In sede di prima attuazione della legge n.59\1997 e nel rispetto dei principi e criteri dianzi enunciati, l’8°co del medesimo articolo 20 (come modificato dalla legge n. 191\1998), ha previsto l’emanazione di appositi regolamenti  (ai sensi e per gli effetti dell’articolo 17, 2°co, della legge n. 400\1988) per disciplinare i procedimenti relativi a specifiche materie fra i quali – per quello che riguarda i riflessi in campo urbanistico – sono ricompresi i procedimenti:

Con il D.P.R. 20\10\1998, n. 447 (modificato e integrato dal D.P.R. 7\12\2000, n. 440) è stato emanato il Regolamento recante “norme di semplificazione dei procedimenti di autorizzazione per la realizzazione, l’ampliamento, la ristrutturazione e la riconversione di impianti produttivi per l’esecuzione di opere interne ai fabbricati, nonché per la determinazione delle aree destinate agli insediamenti produttivi” ( entrato in vigore il 29\12\1998).
Le leggi 8\3\1999, n. 50 e 24\11\2000,n. 340 hanno ricompreso tra i procedimenti da semplificare quelli:

L’articolo 7 della stessa legge n. 50\1999 (modificato dall’art. 1 della legge n.340\2000) ha prescritto inoltre che il Governo proceda al riordino delle norme in materia di :

mediante l’emanazione di testi unici  che, secondo gli indirizzi previamente definiti dal Parlamento, comprendano in un unico contesto e con le opportune evidenziazioni, le disposizioni legislative e regolamentari.

Tali testi unici dovranno essere aggiornati periodicamente almeno ogni sette anni.

Il T.U. in materia di beni culturali ed ambientali è stato emanato con il D.Lgs 29\10\1999, n. 490.
il T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per p.u. è stato emanato con il D.P.R. 8\6\2001, n. 327;
il T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia è stato emanato con il D.P.R. 6\6\2001, n. 38.

Appare utile ricordare, infine, che la legge n.59\1997 (art.11) ha delegato il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi rivolti, tra l’altro a “riordinare e potenziare i meccanismi e gli strumenti di monitoraggio e di valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalle Amministrazioni pubbliche, prescrivendo (all’art.17, come modificato dalla legge 127\1997 ) che, nell’attuazione di tale delega, lo stesso governo dovrà pure prevedere per i casi di mancato rispetto del termine dei procedimenti amministrativi di mancata o ritardata adozione del provvedimento conclusivo di ritardato o incompleto assolvimento degli obblighi e delle prestazioni da parte della P.A., forme di indennizzo automatico e forfettario a favore dei soggetti richiedenti il provvedimento.

Dovranno essere contestualmente individuate le modalità di pagamento e gli uffici che assolvono all’obbligo di corrispondere l’indennizzo, assicurando la massima pubblicità e conoscenza da parte del pubblico delle misure adottate e la massima celerità nella corresponsione dell’indennizzo stesso.

1.5 Il Testo Unico 6 giugno 2001, in materia edilizia, e successive modificazioni

Il D.P.R. 6 giugno 2001, n.380\2001 che ha il proprio fondamento nella delega conferita al governo ai sensi dell’articolo 7 della legge n. 50\1999, come modificato dall’articolo 1  della legge n.340\2000 – riunisce e coordina:

Tale T.U. è stato pubblicato sulla gazzetta ufficiale del 20\10\2001, con entrata in vigore fissata (art.138) a decorrere dal 1°gennaio 2002, ma detto termine è stato prorogato al 30 giugno 2002 dall’art.5 bis della legge 31-12-2001,n.463, che ha convertito il D.L. n. 411/2001 (recante proroghe e differimenti di termini).

Successivamente sono intervenuti il D.L. n. 122\2002 e la relativa legge di conversione 1\8\2002, n.185, che hanno ulteriormente spostato il termine in questione dapprima al 1° gennaio 2003 e poi al 30 giugno 2003, data in cui la normativa in oggetto è definitivamente entrata in vigore.

Il primo rinvio ( quello al 30 giugno 2002) non è stato introdotto dal D.L. 411\2001, bensì dalla legge di conversione n. 463\2001 e pertanto la relativa disposizione è entrata in vigore – ai sensi dell’art.15 comma 5, della legge 400\1988 – soltanto il 10 gennaio 2002, quando però il T.U. era ormai vigente da nove giorni.

Con l’art.4 del D.L. 24\6\2003, n. 147, convertito dalla legge 1\8\2003, n. 200, è stato disposto che la normativa di cui al capo V della parte II del T.U. n. 380\2001, riguardante la disciplina della sicurezza degli impianti, avrà effetto soltanto a  decorrere dal 1°gennaio 2004.

La proroga non si applica agli edifici scolastici di ogni genere e grado.

Secondo la relazione governativa:
“Il T.U.- in una con l’individuazione del testo vigente delle norme, l’indicazione delle norme vigenti e abrogate ed il coordinamento formale del testo delle disposizioni ancora in vita-si prefigge anzitutto lo scopo di delegificare le norme primarie concernenti gli aspetti  organizzativi e procedimentali afferenti alla materia edilizia,secondo i criteri fissati dall’art.20 della legge n.59 del 1997.

Al tempo stesso, le norme primarie concernenti il regime sostanziale restano di rango invariato, così come di rango invariato restano le norme già di livello  regolamentare.

Il Testo unico contiene dunque norme primarie (quelle a contenuto sostanziale), norme primarie delegificate in secondarie (quelle procedimentali e organizzative) e norme secondarie già in origine tali.

Tale impostazione corrisponde alle risoluzioni adottate dalle Camere in sede di parere sulla relazione del governo al Parlamento sul riordino normativo, ed è chiarita nel nuovo testo dell’ art.7, comma 2, della legge n.50 del 1999, come introdotto dall’art.1, comma 6, lett.e),della legge 24 novembre 2000, n. 340, secondo cui il testo unico deve comprendere sia disposizioni che vanno contenute in un decreto legislativo, sia disposizioni che vanno contenute in un apposito regolamento  di delegificazione….

Nell’osservanza dei criteri fissati al comma 2 dell’ art.7 della legge  n.50 del 1999 è stata operata, come , detto, la delegificazione delle norme di legge concernenti gli aspetti organizzativi e procedimentali; sono state altresì indicate le norme abrogate espressamente  non inserite, ma comunque vigenti ancorché contenute in fonte diversa dal Testo unico.

E comunque da ricordare  che ,nell’ ipotesi in cui una norma non risulti indicata né fra quelle non inserite ,né fra quelle abrogate, essa dovrà intendersi in ogni caso abrogata in virtù di quanto disposto dall’art.7,comma3,della legge n.50 del 1999.

Da ultimo ,pur con la prudenza necessaria quando si tratta di riordinare un insieme di norme giuridiche  da tempo vigenti ,nei confronti  delle quali si è ormai stabilizzata l’ interpretazione, si è proceduto ad una semplificazione del linguaggio normativo, come voluto dall’ ultima parte dell’ art. 7,comma 2,lett.d), della legge n. 50 del 1999.

Le norme di rango legislativo che restano nel Testo unico sono quelle risultanti dopo l’opera di delegificazione delle norme  procedimentali e  organizzative.Per queste norme ,che restano primarie ,si è proceduto ad un riordino  e ad  un coordinamento formale.

Per quanto riguarda norme regolamentari ,esse hanno lo speciale carattere cedevole previsto dall’ art.1, comma 4,lett. a),della legge  24-11-2000,n.340,modificato dell’ art. 20,comma 2, della legge 15-3-1997,n. 59, ai sensi del quale “nelle materia di cui all’117, primo comma ,della Costituzione , i regolamenti  di delegificazione trovano applicazione solo fino a quando la Regione non provveda a disciplinare autonomamente la materia  medesima (…)”.

Resta comunque ferma  l’ autonomia normativa comunale , come espressamente affermato dall’ art. 1,comma 2,del Testo unico.

Va evidenziato, da ultimo ,che  il Testo unico fa espressamente salve le disposizioni di cui agli articoli 24 e 25 del D. Lgs. 31-3-1998,n. 112, ed alle relative norme di attuazione,in materia di realizzazione, ampliamento ,ristrutturazione e  riconversione di impianti produttivi”.

I compilatori del T.U. hanno  ritenuto che la delega del “riordino delle norme legislative e regolamentari”- conferita dall’art.7 della legge n. 50/1999- abbia riguardato anche le disposizioni sostanziali e non si sia limitata a quelle procedimentali, riconoscendo  cosi “la possibilità di innovare per  il raggiungimento delle finalità del riordino”,nella prospettiva della “riconduzione ad  unità organica del  materiale  normativo sparso , in modo tale da armonizzare tra loro gli istituti variamente introdotti e disciplinanti l’assetto dei rapporti nella materia dell’attività edilizia”, disponendoli in un sistema unitario ed omogeneo.

Per la gran parte delle disposizioni di ordine sostanziale, il Testo unico si è limitato ad operare un mero coordinamento formale delle disposizioni legislative in materia edilizia, riproducendone il contenuto ed apportando le sole modificazioni necessarie ad evitare contraddizioni  o ripetizioni e disporre le stesse secondo un disegno di consequenzialità logica.

L’assetto più innovativo riguarda, come poco prima anticipato, la riduzione dei titoli abilitativi a due soltanto: il permesso di costruire (nuova denominazione della concessione edilizia )e la denuncia di inizio attività, con conseguente soppressione dell’autorizzazione.

L’art.1, 6° comma, della legge 21 dicembre 2001,n.443 (Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive ) ha notevolmente ampliato l’ ambito di applicazione della denunzia di inizio di attività delineato dall’art.22 del T.U. n. 380/2001, in quanto ha assoggettato a tale istituto ,a scelta dell’ interessato:

Relativamente ai piani attuativi approvati anteriormente all’ entrata in vigore della stessa legge, l’ atto di  ricognizione ,deve avvenire  entro 30 giorni dalla richiesta degli interessati ;in mancanza,  si  prescinde dall’ atto di  ricognizione, purchè il progetto di costruzione venga accompagnato da apposita relazione tecnica  nella quale venga asseverata l’esistenza di piani attuativi aventi le caratteristiche anzidette;

Il Governo è stato delegato ad emanare – entro il 31 dicembre 2002 – un decreto legislativo rivolto ad introdurre nel T.U. dell’edilizia ( n.380\2001) le modifiche strettamente necessarie per adeguarlo alle disposizioni di cui ai commi da 6 a 13 dell’art. 1 della legge n. 443\2001 ( art.1, 14° comma).

La legge 28 dicembre 2001, n.448 (legge finanziaria 2002) ha introdotto ulteriori disposizioni in materia urbanistica ed edilizia.
In particolare:

Il   Governo –  con il D. L.g.s.27-12-2002, n.301(Modifiche ed integrazioni al D.P.R.6-6-2001, n.380, recante Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia)- ha dato  attuazione alla delega di adeguament del T.U. n.380/2001 alle previsioni in materia edilizia introdotte dalla legge 21-12-2001, n.443(cd. Legge obiettivo), conferitagli dall’art.1, comma 14, della stessa legge n.443/2001.

Tale provvedimento normativo (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.16 del 21-1-2003 ed  entrato in vigore il 30 giugno 2003, ai sensi del D.L. 20\6\2002, n. 122, convertito nella legge 1\8\2002, n.185)ha adeguato le disposizione del T.U. n.380\2001 riferite all’istituto della denuncia di inizio attività ed ha sostituito integralmente gli articoli 22 e 23 dello stesso T.U. relativi rispettivamente agli “interventi subordinati a denuncia  inizio attività” ed alla “ disciplina della denuncia inizio attività.

Le nuove disposizioni non hanno mancato di suscitare immediatamente perplessità sul piano generale del regime delle fonti.

La più rilevante di esse si connette alla considerazione che il T.U. n. 380\2001 è di “tipo misto”: contiene cioè disposizioni che hanno ,in parte, natura legislativa ed in parte natura regolamentare.

Le ultime modifiche ad esso apportate sono state, però, introdotte da un decreto legislativo, sicchè il loro rango deve considerarsi primario.

In  una prima valutazione delle  stesse è stato  perciò affermato che  le disposizioni che in precedenza avevano natura regolamentare avrebbero ora acquisito natura legislativa, in quanto si sarebbe prodotto un effetto di “rilegificazione” della materia considerata.

Nel nuovo testo dell’art. 23 ad esempio, continua ad essere indicata una duplice natura (legislativa e regolamentare) delle disposizioni novellate, ma tale indicazione dovrebbe considerarsi inesatta, poiché la natura delle nuove disposizione è esclusivamente legislativa.

Rileva, in proposito Travi che “le modifiche riguardano sia disposizioni a carattere legislativo, che disposizioni a carattere regolamentare; per questa ultime la volontà di mantenere il carattere regolamentare è resa palese, nel testo del decreto legislativo, anche dall’inserimento della sigla “R” ma non pare che si possa perciò concludere che le norme originariamente regolamentari mantengano tale natura, una volta che siano state modificate o anche solo riprodotte in un testo legislativo, ciò che conta per qualificare la natura legislativa o regolamentare di una norma, è la forma dell’atto con cui quella norma viene emanata, e non la classificazione adottata dal legislatore.

Si potrebbe forse immaginare un’ adozione in forma legislativa, con contestuale delegificazione, che renderebbe queste disposizioni esposte a modifiche future di ordine regolamentare; in questo modo, però, il discorso diventa sempre più complicato e (corrispondentemente) sempre meno plausibile…

Non pare proprio che i problemi si possano superare ipotizzando che il D.Lgs. n.301\2002 abbia natura anfibia, ossia carattere di decreto legislativo, rispetto alle disposizioni originariamente legislative e carattere di mero decreto del Presidente della Repubblica rispetto alle decisioni originariamente regolamentari.

A parte il fatto che in questa ipotesi risulterebbe platealmente smentita la legge n. 400\1988 ( che, agli art.14 e 17 impone una distinzione netta, anche di ordine formale, fra i due ordini di decreti) va osservato che il D.Lgs n.301\2002 è stato emanato con la procedura propria dei decreti legislativi, tant’è vero che appare omesso il parere del Consiglio di Stato e che non è stato sottoposto a registrazione”.

La formulazione attuale dell’articolo 117 della Costituzione (come modificato dalla legge costituzionale 18\10\2001, n. 3 ) del resto dispone che “la potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni, la potestà regolamentare spetta alle regioni in ogni altra materia” e la Corte Costituzionale – con la sentenza 23\7\2002, n. 376 – ha affermato che lo Stato non può nelle materie rientranti nella legislazione concorrente (tale si ritiene prevalentemente debba ritenersi il “Governo del territorio”), disporre con fonte regolamentare, anche se di delegificazione.


Fonti:

- TRAVI A. “Nuove modifiche al Testo unico in materia edilizia”, in Urbanistica e appalti, 2003, 144.

- Appare opportuno ricordare che – nel paragrafo 5.7 della Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri 2-5-2001, n. 1\1.1.26\10888\9.92 ( guida alla redazione dei testi normativi) – si legge “la modificazione a norme dei testi unici misti previsti dall’art. 7 della legge n. 50 del 1999 è fatta unicamente al decreto del Presidente della Repubblica (c.d. testo A), contenente sia le disposizioni legislative che quelle regolamentari. In caso di sostituzione o aggiunta di articoli o commi è necessario precisare, apponendo le lettere L o R il rango della disposizione oggetto di modifica. Ove la modifica sostituisca un intero articolo, o introduca un articolo aggiuntivo, la novella reca, dopo la parola art., la lettera (L o R) corrispondente alla fonte che opera la modifica: se la modifica comporta la sostituzione o l’aggiunta di un comme all’interno di un articolo a contenuto misto, la lettera (L o R) è posta in calce al comma stesso. Se la sostituzione riguarda singole parole tale indicazione va invece omessa, fermo restando che modifiche a parti di livello inferiore al comma possono essere apportate solo da atti di fonte pariordinata.

2.1 Premessa

A volte la fortuna di un'idea, di una formula organizzativa, e anche di un istituto giuridico, dipende dalla capacità del nome che li individua di caricarsi di significati positivi, di suggerire emozioni, di mostrare scorciatoie, di evocare rassicurazioni.

Come ben sanno i pubblicitari, che vi costruiscono le loro fortune, il nome della "cosa", l'immagine emotiva della cosa, conta spesso più della cosa stessa, e "si vende", almeno all'inizio, quasi indipendentemente dai pregi reali della "sostanza" cui il nome rinvia.

Qualcosa del genere succede per lo "Sportello Unico". Il nome sa di sollievo, di liberazione.

Fa balenare sullo sfondo pacchi di istanze, ciascuna nel dovuto bollo, da presentare ciascuna alla competente autorità; si intravedono scale, corridoi ministeriali, code ed attese, impiegati scortesi e incompetenti, smarrimento dinnanzi a regole sconosciute ed assurde, la paura continua di sbagliare e di dover ricominciare, davanti ad un altro sportello, in fondo ad un altro corridoio: la burocrazia nella sua faccia peggiore.

E, su questo tetro sfondo, lampeggia la promessa di cancellare, di abolire, di tagliare tutto questo: uno "Sportello Unico", un solo luogo cui presentarsi, dove il fastidio della burocrazia viene almeno ridotto al minimo.

Ma di più: un luogo amichevole, da cui non si viene respinti, ma anzi aiutati e ca­piti, e dove qualcuno si preoccupa di farci raggiungere il risultato che abbiamo in mente, si fa carico, lui stesso, di "passare le carte" agli altri suoi colleghi di altre amministrazioni, e ci tiene informati di come la cosa sta andando, garantendo co­munque una risposta in tempi rapidi.

Dopo lo sportello unico per le attività produttive, la cui fortuna mediatica continua al di là forse dei meriti reali, è ora il Testo Unico dell'edilizia che ci propone uno "sportello unico".

Con l’entrata in vigore del Testo Unico, lo sportello unico è uno dei punti su cui forte è stata l'attesa degli operatori; sembra doveroso valutare se, al di là del carattere suggestivo, orecchiabile, del nome, la novità che si sta prospettando, corrisponda alle attese che il nome può evocare.


Fonti:

- Se è vero da quanto risulta da un Dossier della Confindustria, di cui è data notizia sul “Sole 24 ore” del 20 Agosto 2001, che fa presente che i tempi necessari per il rilascio di autorizzazioni in materia di insediamenti produttivi non si sono ridotti, e lamenta in particolare l’insufficienza della sola unificazione dei vari procedimenti, non accompagnata da un loro “alleggerimento”sostanziale; e fa notare che i titolari delle varie funzioni oppongono resistenza al coordinamento del responsabile dello Sportello unico.

- Già a suo tempo acutamente rilevata da Sticchi Damiani, “L’unificazione come modello di semplificazione amministrativa” con riferimento allo sportello unico per le attività produttive.
Altri sportelli unici sono nel frattempo annunciati: quello dell’automobilista e lo sportello per l’impresa all’estero.

2.2 Dalla semplificazione amministrativa alla semplificazione urbanistica: il Testo Unico per l'edilizia

Bisogna innanzitutto inquadrare la fonte di questa nuova disciplina.

Vedremo infatti che molti dei dubbi e delle critiche che sulle nuove disposizioni si possono sollevare hanno a che fare proprio con la natura e col rango della fonte che le contiene.

Il Testo Unico dell’edilizia è stato adottato sulla base della delega del “riordino delle norme legislative e regolamentari”, data al Governo dall'art. 7, commi 1 e 2, della l. 8 marzo 1999, n. 50 (nel testo modificato dall'art. 1 della 1. 24 novembre 2000, n. 340).

Compito del Governo è, in base alle leggi citate, di individuare e di raccogliere, in primo luogo, le norme di legge (e, sembrerebbe, anche quelle regolamentari) vigenti nella materia, e di fissarne il testo vigente; di delegificare quelle norme primarie che riguardano gli aspetti organizzativi e procedimentali, ossia di sostituirle con nuove disposizioni regolamentari ispirate all'obiettivo della sempli­ficazione; di accorpare in una sequenza razionale e unitaria l'insieme che ne risulta, segnalando quali disposizioni si de­vono ritenere abrogate.

Con l’articolo 2 della legge n.537\1993 e successive modificazioni, con l’articolo 20 della legge n.59\1997 e con l’articolo 2 della legge 50\1999, sono stati introdotti criteri di semplificazione procedimentale da attuarsi con regolamenti governativi delegati, aventi ad oggetto la disciplina dei procedimenti elencati in apposito allegato della legge.

Le prime serie di detti regolamenti sono stati emanati nel 1994 ( riguardano diverse materie, dalla localizzazione di opere di interesse statale, alle autorizzazioni di stabilimenti commerciali, alle iscrizioni nei pubblici registri, alle concessioni di contributi in favore di attività di spettacolo, alle concessioni di servizi di autolinea, sino alla fondamentale materia dei procedimenti di spesa).

Attraverso questa operazione di “semplificazione” viene attuata anzitutto una estesa delegificazione dell’azione amministrativa, dequotando la fonte dei procedimenti contemplati dalla legge a quella regolamentare, anche per le successive modificazioni (le norme, anche di legge, relative ai procedimenti in oggetto sono abrogate dalla data di entrata in vigore dei relativi regolamenti:art. 2, 8° comma, l. cit.).

I criteri di semplificazione dei procedimenti amministrativi, concernono: la riduzione del numero delle fasi procedimentali e delle amministrazioni intervenienti, anche con interventi di riordino organizzativo degli uffici e delle loro competenze, la riduzione dei termini per la conclusione dei procedimenti che si riferiscono alla medesima attività, l’eliminazione ove è possibile di organi collegiali, la soppressione dei procedimenti non necessari, l’adeguamento della disciplina sostanziale e procedimentale dell’attività e degli atti amministrativi ai principi della normativa comunitaria, anche sostituendo al regime concessorio quello autorizzatorio, di tutti gli aspetti organizzativi e di tutte le fasi del procedimento e l’adeguamento delle procedure alle nuove tecnologie informatiche.

La regolamentazione che è seguita alla delega ha fatto larga applicazione di questi criteri; e inoltre, ha introdotto nelle diverse discipline procedimentali i nuovi istituti di cui alla l. proc. Amm. (quali le conferenze di servizi, gli accordi, il silenzio assenso).

Ancora, con la legge 15\3\1997, n.59 (cd. Legge Bassanini), nell’ampia prospettiva di riforma della pubblica Amministrazione e di semplificazione amministrativa, il Governo è stato delegato a conferire alle Regioni e agli enti locali – ai sensi degli art.5, 118 e 128 della Costituzione, funzioni e compiti amministrativi nel rispetto dei principi e dei criteri direttivi fissati dalla stessa legge.

In attuazione di tale delega è stato emanato il D.Lgs  31\3\1998, n. 112 (modificato ed integrato dal D.Lgs  29\10\1999, n. 443), con il quale - in tema di “territorio ed urbanistica -  viene innanzitutto conservato allo Stato il potere di indirizzo e coordinamento, da esercitarsi ai sensi dell’art. 8 della legge n. 59\1997” (art.4).
L’articolo 8 della legge n. 59\1997dispone che “gli atti di indirizzo e coordinamento delle funzioni amministrative regionali, gli atti di coordinamento tecnico, nonché le direttive relative all’esercizio di funzioni amministrative delegate, sono adottati previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, o con la singola Regione interessata.

Qualora l’intesa non venga raggiunta nel termine di 45 giorni dalla prima consultazione, gli atti anzidetti sono adottati con deliberazione del Consiglio dei Ministri, previo parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali, che deve essere espresso entro 30 giorni dalla richiesta.

In caso d’urgenza il Consiglio dei Ministri può provvedere senza l’osservanza delle procedure dianzi indicate, ma nei successivi 15 giorni deve sottoporre i provvedimenti adottati all’esame degli organi previamente non interpellati e, nel caso in cui detti organi esprimono parere negativo, è tenuto a riesaminare i provvedimenti medesimi.

L’articolo 52 del D.Lgs. n.112\1998 prevede poi che “hanno rilievo nazionale i compiti relativi alla identificazione delle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale con riferimento ai valori naturali ed ambientali, alla difesa del suolo ed alla articolazione territoriale delle reti infrastrutturali e delle opere di competenza statale, nonché al sistema delle città e delle arre metropolitane,anche ai fini dello sviluppo del mezzogiorno e delle aree depresse del paese” (art 52).

Tali compiti sono esercitati, attraverso “intese”, nella Conferenza unificata prevista dall’articolo 9 della legge n. 59\1997 ( trattasi della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano unificata con la conferenza Stato – Città ed autonomie locali).

Spettano altresì allo Stato i rapporti con gli organismi internazionali ed il coordinamento con l’Unione Europea in materia di politiche urbane e di assetto territoriale.
Sono mantenuti allo Stato (articolo 54 del D. Lgs. n. 112\1998), le funzioni relative:

Le funzioni di cui alle lettere a), b), c) ed e) sono esercitate di intesa con la Conferenza unificata.

Sono state conferite, invece, alle Regioni ed agli enti locali tutte le funzioni amministrative non espressamente mantenute allo Stato.

Per quanto attiene, invece, alla semplificazione dei procedimenti in materia edilizia  le innovazioni di maggior rilievo apportate  dal Testo Unico 380\2001 riguardano:

Questo ufficio è deputato alla ricezione delle domande e delle denunce presentate dai privati; funge da elemento di raccordo, punto di riferimento nella fase istruttoria e momento di coordinamento nei rapporti sia tra Amministrazioni e richiedente, dia tra le amministrazioni interessate, segnatamente attraverso lo strumento della conferenza di servizi; infine, è l’interlocutore cui l’interessato si rivolge per ottenere certificazioni ed ogni altro documento in materia edilizia ed urbanistica.

Lo Sportello cura dunque i rapporti con i soggetti interessati alla realizzazione di interventi edilizi, con i cittadini in genere e con altre Amministrazioni chiamate ad interloquire con il Comune con riferimento a procedimenti connessi o presupposti.

Questa struttura assolve infatti ad una fondamentale funzione informativa per il cittadino, che ad essa potrà rivolgersi per ricevere documentazione e chiarimenti in materia di edilizia e urbanistica: tale ufficio è chiamato a rilasciare certificazioni attestanti le prescrizioni normative e le determinazioni provvedimentali a carattere urbanistico, paesaggistico -  ambientale, edilizio e di qualsiasi altro tipo, comunque rilevanti ai fini degli interventi di trasformazione edilizia del territorio.

Con riguardo invece ai soggetti interessati alla realizzazione di interventi edilizi, lo sportello riceve le istanze; comunica le decisioni, se del caso sollecita le integrazioni documentali (cfr. comma 4 e 5 dell’articolo sul procedimento).

Ancora, lo sportello unico ha competenze sulle domande di accesso ai documenti amministrativi in conformità alle norme statutarie e in ossequio alla disciplina generale dettata dagli articoli 22 e segg. della legge 7 agosto 1990, n. 240 (lett.c), in relazione a tali rilevanti compiti di impulso, di sollecitazione e di coordinamento è senza dubbio auspicabile che i Comuni, adeguando le norme statutarie e regolamentari, regolino i rapporti tra lo Sportello e i singoli uffici comunali, nonché tra lo sportello e gli altri uffici (compresi i vigili del fuoco e ASL) cui spetta il rilascio di pareri e l’effettuazione di verifiche endoprocedimentali.

Lo snellimento della procedura per il rilascio del permesso di costruire, attraverso l’eliminazione dell’obbligatorietà del parere della commissione edilizia (la cui sopravvivenza è peraltro rimessa all’autonoma scelta dei Comuni) e l’introduzione, seppur con alcuni limiti, della autocertificazione in sostituzione del parere dell’Azienda Sanitaria Locale.

comunale ed all’intervento sostitutivo della Regione;     

Il Testo Unico si caratterizza per la coesistenza e l'intrec­cio di due serie di disposizioni di diversa forza, e rispetto alle quali diverso è lo spazio di azione del Governo.

Vi sono innanzitutto disposizioni di livello legislativo che danno disciplina "sostanziale" alla materia, rispetto alle quali scopo dell'azione del Governo è quello della certezza e della conoscibilità: si tratta di farne ricognizione, cioè di trovarle, di verificare se sono ancora vigenti, di determinarne il testo vigente, come risulta da modifiche testuali, da abrogazioni parziali esplicite o tacite, da dichiarazioni di illegittimità costituzionale (anche eventualmente con effetti additivi), di coordinarle, cioè di farne risultare un testo coerente (ma anche, secondo quanto è stato autorevolmente ritenuto, adeguando il testo a nuovi principi e al "diritto vivente") e infine si tratta di uniformarne e semplificarne il linguaggio.

Di tali di­sposizioni è fatta pubblicazione in un decreto legislativo, che determina, più che la semplice raccolta di disposizioni legislative già vigenti, la creazione di nuove disposizioni, che possono differire da quelle previgenti nel linguaggio e nella sostanza (sia pure nei limiti in cui tali modifiche si giustifichino per la necessità di "garantire la coerenza logica e sistematica della normativa"), e che provoca l'abrogazione delle disposizioni di legge fino ad allora vigenti, sostituite da quelle "nuove" del testo unico.

Vi sono poi le disposizioni di livello regolamentare.

Queste costituiscono il risultato della delegificazione operata sulle norme di legge relative ai profili organizzativi e alla disciplina dei procedimenti.
Si noti però che il potere di adottare re­golamenti di delegificazione pare (per certi versi almeno) an­dare oltre gli aspetti procedimentali e organizzativi, se è vero che il punto g quater dell'art. 20 della legge n. 59 del 1997, introdotto dalla legge n. 191 del 1998, indica, fra i criteri cui i regolamenti di delegificazione si devono conformare, "l'adeguamento della disciplina sostanziale e procedimentale dell'attività e degli atti amministrativi ai principi della normativa comunitaria, anche sostituendo al regime concessorio quello autorizzatorio".

La nuova disciplina degli aspetti organizzativi e procedimentali va effettuata nel rispetto dei criteri individuati dall'art. 20 della legge n. 59 del 1997 e le norme regolamentari che ne risultano vanno pubblicate in un apposito regolamento di delegificazione.

Il Testo Unico comprende quindi, in unico contesto, ma con evidenziazione della natura delle singole disposizioni, sia le disposizioni contenute nel decreto legislativo, sia quelle con­tenute nel regolamento di delegificazione: esso ha dunque natura composita.

Ne rimane per la verità la sensazione di un qualcosa di com­plicato e anche un po' confuso, ma è certo apprezzabile l'intento di offrire agli utilizzatori un testo completo e tendenzialmente esaustivo dell'intera materia (anche se le attuazioni del disegno risentono poi talvolta in concreto di alcune debolezze, fra le quali una certa carenza della necessaria radicalità nello sgombrare il campo, con le abrogazioni, della previgente disciplina, che viene talvolta, per lacerti anche minimi, parzialmente lasciata in vita).

2.3 La disposizione regolamentare che prevede lo sportello unico

Dunque, una disposizione di rango regolamentare, adottata sulla base dell'autorizzazione legislativa che consente la delegificazione delle disposizioni procedimentali e organizzative relative ai

"procedimenti per il rilascio delle concessioni edilizie e di altri atti di assenso concernenti attività edilizie" (1. n. 59 del 1997, allegato 1, n. 105, nel testo risultante dall'art. 1, comma 4, lett. m , della legge 24 novembre 2000, n. 340) e di quelle relative al procedimento per il rilascio del certificato di agibilità (1. n. 59 del 1997, allegato 1, n. 112-quinquies), prevede ora che

"le amministrazioni comunali ... provvedono ... a costituire un ufficio denominato sportello unico per l'edilizia, che cura tutti i rapporti fra il privato, l'amministrazione e ... le altre amministrazioni tenute a pronunciarsi…”

Di tale ufficio si descrivono poi, nello stesso art. 5 del testo unico e in altri successivi articoli, i compiti e le attribuzioni.

2.4 Le competenze legislative regionali

Esprimendo il suo parere sulla bozza di testo unico, la Conferenza dei Presidenti delle Regioni ha formulato (il 22 marzo 2001) "una serie di proposte emendative ritenute irrinunciabili ai fini della espressione del parere favorevole", e, fra queste, in particolare quella di emendare l'(allora) art. 4, dedicato allo sportello unico per l'edilizia, nel quale si chiedeva di inserire un nuovo comma così formulato: "Le regioni possono disciplinare l'organizzazione e il funzionamento dello sportello unico per l'edilizia, eventualmente coordinando lo stesso con lo sportello unico per le attività produttive, favorendo, altresì, forme associative".

La richiesta delle Regioni di poter disciplinare "in modo incondizionato con propria legge la costituzione e l'organiz­zazione dello sportello unico" era però considerata negativamente dal Consiglio di Stato, il quale, nel parere reso dall'Adu­nanza generale il 29 marzo 2001 (n. 5212001), osservava come l'organizzazione degli uffici comunali in "sportello unico" dovesse essere lasciata all'autonomia comunale, essendo tale sportello "finalizzato all'esecuzione di tutti gli adempimenti in materia edilizia (di competenza comunale)".

Non vi è dunque nel testo dell'attuale art. 5 alcun riferimen­to ad una potestà legislativa regionale in materia. E per fortuna: solo di sfuggita si può infatti rilevare che la richiesta regionale, se accolta nei termini in cui era stata for­mulata, avrebbe comportato l'aggiunta di un ulteriore comma, della stessa natura normativa degli altri, nello stesso art. 4 (ora 5).

Sarebbe stato allora lavoro dei giuristi spiegare il senso di una disposizione di regolamento di delegificazione che pretenda di conferire o di riconoscere potestà legislativa alle regioni.

2.5 Più in generale: delegificazione e regioni

II Governo, nel compilare il Testo Unico, non aveva ritenuto di dare rilievo al tema del collegamento con le attribuzioni delle Regioni e dei Comuni in materia edilizia, tanto che un articolo dedicato al punto mancava nel testo originario ed è stato aggiunto  solo a seguito del rilievo in merito sollevato dalle regioni e del parere del Consiglio di Stato che ha ritenuto accoglibile la corrispondente richiesta regionale.

Ne è risultato l'attuale art. 2, il quale (discostandosi sia dalla formulazione proposta dalle regioni che da quella indicata dal Consiglio di Stato) ripete che "le Regioni esercitano la potestà legislativa concorrente in materia edilizia nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale desumibili dalle disposizioni contenute nel Testo Unico"; che le Regioni a statuto speciale e le province autonome esercitano la loro potestà legislativa esclusiva nel rispetto degli statuti e delle relative norme di attuazione; che "le disposizioni, anche di dettaglio, del  presente Testo Unico, attuative dei principi di riordino in esso contenuti, operano direttamente nei riguardi delle Regioni a statuto ordinario, fino a quando esse non si adeguano ai principi mede­simi", e ancora che "i Comuni, nell'ambito della propria autonomia statutaria e normativa di cui all’ art. 3 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, disciplinano l'attività edilizia".

Infine l'art. 2 si con­clude, con disposizione che sembra avere, come l'intero articolo, lo scopo di tranquillizzare Regioni ed enti locali circa le loro attribuzioni, rassicurandoli che, con il Testo Unico, lo Sta­to non si vuole riprendere funzioni e compiti loro conferiti.

Poiché la materia "edilizia" è, per pacifica interpretazione, rientrante (in quanto parte integrante della materia "urbanistica" compresa nell'elenco dell'art. 117 Cost.) fra le materie sulle quali le Regioni ordinarie hanno competenza legislativa concorrente, la disposizione dell'art. 5 del Testo Unico che istituisce e disciplina lo sportello unico dell'edilizia, al pari di tutte le altre disposizioni procedimentali e organizzative, contenute in disposizioni regolamentari di delegificazione, e relative a materie su cui è dato alle regioni un potere legislativo, ha "carattere cedevole" (come dice la relazione governativa allo schema di testo unico) di fronte all'esercizio della potestà legislativa regionale.

In questo senso infatti, già l'art. 1, comma 4, lett. a), della legge 24 novembre 2000, n. 340, modificando l'art. 20, comma 2, della legge 15 marzo 1997, n. 59, ha disposto che "nelle materie di cui all'articolo 117, comma 1, della Costituzione, i regolamenti di delegificazione trovano applicazione solo fino a quando la Regione non provveda a disciplinare autonomamente la materia medesima".

Non diversa è, come si è appena ac­cennato, la disposizione dell'art. 2 del nostro testo unico.

La "cedevolezza" delle disposizioni di regolamento delegificanti comporta - si direbbe - che le regioni possano, a loro discrezione, sopprimere con loro leggi lo sportello unico, o disciplinarlo in maniera anche strutturalmente diversa.

L'istituzione dello sportello unico ad opera delle disposizioni regolamentari delegificanti contenute nel Testo Unico sarebbe allora liberamente revocabile o modificabile con legge regionale; essa sarebbe - giuridicamente - così precaria da presentarsi come poco più di un suggerimento (sia pure temporaneamente dotato, fino a decisione regionale diversa, di forza normativa), al quale le regioni potrebbero liberamente dare seguito, confermando con proprie leggi la disposizione, solo se convinte a loro volta della bontà dell'idea, e salvo realizzarla poi in concreto ciascuna a suo modo. Una tale conclusione pare inevitabile.

È escluso infatti che si possa attribuire alla disposizione sullo sportello unico il carattere di norma di principio, dovendosi dare per pacifico che un tale carattere, e il peculiare vincolo che ne deriva sulla potestà legislativa regionale concorrente, non si possa predicare se non delle disposizioni di rango legislativo, né potendosi al­trimenti immaginare che un "principio della legislazione statale in materia" possa essere ricavato, per la prima volta ed esclusivamente, da una disposizione di regolamento, la quale potrebbe al più dare espressione e riconoscibilità ad un principio già aliunde e autonomamente ricavabile da disposizioni di rango legislativo.

Né pare di poter dare un rilievo decisivo alla formula, forse intenzionalmente sfumata, del ricordato art. 2 del testo unico, che, riferendosi ai principi "della legislazione statale desumibili dalle disposizioni contenute nel Testo Unico" sembrerebbe voler intendere che tali principi si possano o si debbano ricavare, o, appunto, "desumere", dall'insieme delle disposizioni, comprese quelle di rango regolamentare, contenute nel Testo Unico.

Ci si potrebbe chiedere allora se la disposizione di regola­mento che istituisce lo sportello unico esprima una volontà di indirizzo e coordinamento, in sostanza precisando uno dei modi in cui la semplificazione amministrativa in materia edi­lizia deve essere, anche dalla legislazione regionale, realizzata.

Si tratterebbe però di un atto di indirizzo del tutto anomalo per la forma e la sede e comunque illegittimo perché adottato sulla base di un procedimento non coerente con le previsioni dell'art. 8 della legge n. 59 del 1997, essendo mancata in questo caso l'intesa con la Conferenza Stato-regioni, non adeguatamente sostituita dal parere pure espresso da quest'ultima sullo schema di Testo Unico.

Né si può mancare di osservare che nel caso in questione difetterebbe, all'eventuale atto di indirizzo e coordinamento che si volesse individuare nella disposizione di cui ci occupiamo, il necessario specifico fondamento legislativo,in questo senso si è espressa la Corte Costituzionale con la sentenza n. 408\1998 e, da ultimo con la sentenza n. 63\2000.

E ancora che sarebbe comunque da reputarsi illegittimo quell'atto di indirizzo che non si limitasse a vin­colare le Regioni al conseguimento di obiettivi e risultati, ma pretendesse di entrare nel dettaglio delle soluzioni da seguire.

Verrebbe da dire a questo punto che potremmo essere di fronte ad un nuovo modo (para-giuridico) di esercitare in fatto una funzione di indirizzo sulla legislazione regionale, che potrebbe giocare intenzionalmente sulla forza mediatica dell'annuncio della novità.

In effetti, è arduo riuscire ad attribuire alle disposizioni dei regolamenti di delegificazione che "semplificano" aspetti organizzativi o procedimentali relativi a materie regionali, e in particolare a quella di cui ci occupiamo in materia di sportello unico per l'edilizia, una qualche efficacia giuridica di vincolo o di indirizzo sulla legislazione regionale.

Sì che l'effetto di tali disposizioni di delegificazione non può essere, giuridicamente, che quello di introdurre un insieme del tutto precario ed evanescente di disposizioni di dettaglio, destinate a svanire al primo successivo esercizio di potere legislativo regionale.

A differenza di quanto avviene quando lo Stato, intervenendo legislativamente su materie regionali, ridisciplini un ambito sia quanto ai principi e alle scelte di fondo, sia quanto ai conseguenti dettagli, nel caso si disciplini una materia con disposizioni regolamentari di delegificazione, nessuna delle regole così provvisoriamente dettate è in grado di contenere e di veicolare un qualsiasi principio capace di guidare in qualche modo la potestà legislativa regionale.

Una volta che, nel prevedere (con la prima legge Bassanini) un ampio ricorso al meccanismo della delegificazione, ci si è allontanati dall'impostazione della legge n. 400 del 1988, che voleva (art. 17, comma 2) che le leggi della Repubblica, autorizzando l'esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinassero le norme generali regolatrici della materia, non sopravviverebbero al venir meno della normazione regolamentare (giuridicamente tutta di dettaglio) che i generalissimi principi dell'art. 20, comma 5, della stessa legge n. 59 del 1997, inidonei evidentemente a presentarsi come principi di materia.

E ciò equivale a concludere che la semplificazione del­la legislazione amministrativa resta affidata, per le materie regionali, alle Regioni, in diretta attuazione dei principi della legge n. 59 del 1997 e successive.

Tale conclusione è tutt'altro che scandalosa, ed anzi è ovvia, ed è l'unica pienamente conforme ai fondamenti costituzionali del nostro sistema.

In tale conclusione però ci si è sempre  imbattuti occupandosi di Testi Unici e di norme di regolamento governativo di semplificazione che di quelli sono parte. Quindi non se ne può in questo momento gioire, perché essa  costringe a chiedersi a che cosa servono e che senso hanno, nelle materie regionali, i regolamenti governativi di delegificazione.

Tanto più che potrebbe sorgere un serio problema anche da un altro punto di vista.

Le disposizioni regolamentari di delegificazione, come quelle contenute nel Testo Unico dell'edilizia, non intervengono sul vuoto, ma si calano su campi già da lungo tempo disci­plinati - per quel tanto o quel poco che è loro consentito dai più o meno stringenti principi dettati o ricavabili dalla legislazione statale in materia - da leggi regionali.

Ogni Regione, per quel che qui ci riguarda, ha la sua legge urbanistica, più o meno ben fatta, che contiene disposizioni sui procedimenti edilizi, sulle modalità di rilascio dei titoli abilitativi, sulla disciplina del potere sostitutivo regionale ecc.

Le disposizioni regolamentari del Testo Unico giungono quindi ad invadere, sia pure "cedevolmente" e transitoriamente, il campo della legislazione regionale, sovrapponendosi intanto ad essa, e, addirittura, provocandone l'abrogazione.

2.6 L'edilizia come materia regionale

Tutte le considerazioni fin qui svolte valgono ovviamente sul presupposto che le disposizioni di rango regolamentare contenute nel Testo Unico di cui ci occupiamo si riferiscano a materia rientrante nella competenza legislativa regionale.

Che così sia per l'edilizia, non pare davvero dubbio. Piuttosto si potrebbe cercare di sostenere che non proprio tutte le disposizioni del Testo Unico rientrino propriamente nella materia edilizia, e ciò potrebbe apparire sostenibile proprio con riferimento al punto di cui ci occupiamo, quello dello sportello unico.

Va innanzitutto, per il piacere della completezza, sgombrato il campo dalla tentazione di affermare che l'edilizia non rientri affatto fra le materie di competenza legislativa regionale.

Che così non possa essere, discende dall'impossibilità di separare, nella lunga esperienza del diritto vivente non meno che nell'astratto ragionamento, l'urbanistica (intesa come il campo dei poteri e dei procedimenti di determinazione degli usi possibili del territorio e di localizzazione su di esso delle attività umane ed economiche), alla quale testualmente si riferisce l'attribuzione di competenza legislativa di cui all'art. 117 Cost., e l'edilizia (ossia la disciplina delle modalità e dei limiti della nuova edificazione o dell'intervento sugli edifici esistenti e la previsione dei relativi procedimenti di controllo pubblico).

È insomma un dato acquisito che le norme regolatrici dell' attività del costruire, e le attività amministrative che ne costituiscono l'applicazione, siano così intimamente connesse con le scelte e le norme in materia di pianificazione del territorio, come strumento di attuazione di quelle, da non poter essere oggetto di considerazione autonoma.

Né la conclusione può cambiare alla luce della riforma del titolo V della Costituzione, dato che il nuovo art. 117 usa, per individuare uno dei campi cui si riferisce la potestà legislativa concorrente delle regioni, una formula ("governo del territorio") che appare ancora più ampia dell'attuale riferimento all'urbanistica, richiamando sia le enunciazioni che si facevano negli anni '70 dell'urbanistica come "governo complessivo del territorio" sia le più ampie fra le recenti definizioni della nozione, come quella dell’art 34 del d.lgs.n.80/1998 (“…tutti gli aspetti dell’uso del territorio”).

Detto questo, però, non è detto che la riforma del titolo V della Costituzione non eserciti una influenza, sia pure di tendenza e non immediata, anche sulla individuazione del contenuto delle materie che restano  di competenza concorrente fra Stato e Regioni.

Il capovolgimento del principio di fondo cui si ispira il riparto fra Stato e Regioni delle competenze legislative può prevedibilmente porsi come fattore di evoluzione della definizione concreta, nei rapporti Stato – Regioni e nella giurisprudenza della Corte, dell’estensione delle materie.

Mentre prima della legge di riforma costituzionale n. 3\2001, l’estensione della nozione di urbanistica fino a comprendere l’edilizia, ha consentito alle Regioni di esercitare su quest’ultimo ambito dei poteri normativi che altrimenti non avrebbero avuto; dopo l’entrata in vigore della novella costituzionale, infatti, portare l’edilizia fuori dalla materia urbanistica rendendola indipendente da questa, significherebbe attribuirla alla competenza legislativa esclusiva delle Regioni; lasciarvela significherà sottoporvela, come materia di legislazione concorrente, ad un potere di co - determinazione da parte dello Stato.

Ma già ora la nuova formulazione dell’articolo 117 crea dubbi e difficoltà interpretative contro l’idea, data per ovvia nel testo qui sopra, che l’urbanistica rientri nel governo del territorio compreso nell’elenco delle materie di legislazione concorrente del nuovo art. 117.

Comunque restiamo qui al punto: attualmente ( nonostante qualche notazione in contrario)  non è sostenibile l’idea che il potere di dare disciplina all’edilizia non sia compreso inevitabilmente nel potere di occuparsi dell’urbanistica o del “governo del territorio”.

La spettanza alle Regioni di un potere legislativo concorrente nella materia urbanistica comporta quindi per esse il potere di dettare, negli spazi consentiti dal dovere di rispettare i principi della legislazione statale in materia ( per la verità piuttosto stringenti), la disciplina sostanziale della materia “edilizia”, e inoltre (e più ancora, si direbbe) il potere di disciplinare i procedimenti amministrativi relativi al controllo pubblico sull'attività edificatoria.

2.7 L'organizzazione degli uffici comunali come materia non regionale: dubbi quanto allo sportello unico

Si potrebbe allora tentare di sostenere che, se la com­petenza legislativa su una materia comporta ovviamente la possibilità di disciplinare gli aspetti procedimentali relativi, non altrettanto indiscutibile è che essa si estenda alla disciplina di tutti quelli che si possano considerare aspetti organizzativi in senso proprio.

Per quanto sia ovvio lo stretto legame che esiste fra disciplina dell'attività e disciplina dei soggetti che la compiono - ciò che rende arduo tracciare una linea precisa che separi i due ambiti - si potrebbe forse riuscire a tenere separate in qualche misura la disciplina funzionale (la definizione dei compiti e poteri e attività all'interno di un certo procedimento), dalla disciplina strutturale (cioè la previsione dell'esistenza o no, l'istituzione e la connotazione organizzativa, di organi o uffici).

E ciò in particolare quando le strutture organizzative di cui si tratta siano quelle di enti dotati a loro volta di autonomia garantita, quali i Comuni.

La disciplina di aspetti organizzativi del Comune comporterebbe del resto l'esercizio di un potere legislativo relativo ad una materia diversa da quella cui si riferisce la disciplina del procedimento, toccando verosimilmente la materia "ordinamento degli enti locali", su cui non spetta alle regioni ordinarie alcuna competenza.

A nessuno verrebbe in mente, ad esempio, - tanto per fare un paradosso - che il potere legislativo in materia di procedimenti edilizi possa estendersi fino a disciplinare numero, qualificazione, modalità di selezione, retribuzione, dei dirigenti del comune coinvolti nei procedimenti stessi.

La potestà legislativa regionale deve dunque lasciar fuori gli aspetti che ricadono nella autonomia organizzativa, e nella correlata autonomia normativa statutaria e regolamentare, dei Comuni.

Una conferma nel senso della plausibilità dell'ipotesi che si sta esplorando potrebbe anche venire dall'opinione espressa dal Consiglio di Stato, il quale, come si è accennato, ha fatto notare nel parere reso sullo schema di Testo Unico, in relazione alla richiesta espressa dalla Conferenza delle Regioni che fosse previsto esplicitamente un potere legislativo regionale sulla disciplina dello sportello unico, che, essendo lo sportello unico finalizzato all'esecuzione di adempimenti in materia edilizia (di competenza comunale), è "indispensabile che la disciplina dello stesso sia dettata sempre dal Comune che se ne avvale".

Se si potesse dunque dimostrare (in ipotesi) che il punto della istituzione e regolamentazione dello sportello unico - quanto almeno ai suoi aspetti organizzativi che toccano l'organizzazione di enti diversi dalla Regione stessa - non rientra nella materia "edilizia" e resta quindi fuori dalla sottoposizione al potere legislativo delle regioni, avremmo così trovato un modo per superare le obiezioni che ci è venuto di fare circa la "debolezza" delle previsioni regolamentari del Testo Unico, e circa la loro stessa compatibilità con il quadro costituzionale.

Sembra però che un tale sforzo interpretativo, pur forse in astratto difendibile, non si presenti pienamente convincente proprio con riferimento alla disciplina dello sportello unico, la cui disciplina attiene, nel suo nucleo fondamentale, al momento procedimentale, il cuore delle disposizioni di cui ci stiamo occupando essendo rappresentato dall'inserzione, all'interno dell'unico procedimento di rilascio del permesso di costruire, di tutti i procedimenti, attinenti ad altri interessi coinvolti dalla progettata edificazione, che ora sono autonomi e paralleli.

Non sembra dunque di poter riuscire, per questa strada, a superare convincentemente i dubbi che si sono fatti presenti circa la legittimità della disposizione in questione, e più radicalmente circa il senso di essa.

Non pare insomma di potere arrivare così a dimostrare che l'art. 5 del Testo Unico sia una disposizione "forte", non provvisoria e disponibile per il legislatore regionale, né tacciabile di illegittimità costituzionale, e che di conseguenza l'istituzione dello sportello unico, che esso contiene, sia capace di caratterizzare davvero d'ora in poi l'organizzazione delle strutture destinate ad occuparsi di edilizia, e di meritare il vanto che il Governo se ne è fatto.

2.8 I vincoli derivanti, anche al Governo, dall' attribuzione ai Comuni della competenza in materia di organizzazione dei propri uffici

Ma proprio il riferimento, che poco fa si è fatto, al neces­sario rispetto delle competenze dei Comuni in tema di organizzazione dei loro uffici consente di introdurre qui un altro punto, che pare fondamentale per dare conto del rilievo e della portata delle nuove previsioni del Testo Unico dell'edilizia.

Né la digressione fin qui condotta, e quella, breve, che segue appaiano oziose: non sembra dubbio infatti che per diversi aspetti le previsioni in tema di sportello unico risentono della "debolezza" della fonte che le reca.

E ciò su un duplice fronte: da un lato, per quanto si è accennato - sotto il profilo "ester­no", quello della loro legittimità e della loro vincolatività - con riferimento ai rapporti con le competenze normative regionali; dall'altro, come ora si dirà - sotto il profilo "interno", della completezza, univocità, chiarezza delle singole previsioni - con riferimento all'autonomia normativa e organizzativa co­munale.

È infatti evidente che molti degli aspetti insoddisfacenti che si cercherà di mettere in luce più avanti, e in generale il carattere irresoluto, parziale, incompiuto delle previsioni sul­lo sportello unico, le contraddizioni che ne emergono e i vuoti che vi si colgono, siano dovuti allo scrupolo di rispettare l'autonomia comunale e al dubbio (o alla consapevolezza) che il regolamento, sia uno strumento inadeguato per imporre ai Comuni modelli organizzativi nuovi, di fronte ad un'autonomia che la Costituzione garantisce "nell'ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica".

La consapevolezza del problema dei vincoli derivanti dal necessario rispetto dell'autonomia comunale, organizzatoria e normativa, non è certo mancata.

Sia il Governo nella relazione che ha accompagnato la bozza di Testo Unico, sia il Consiglio di Stato nel suo parere su di essa, vi hanno fatto riferimento.

Il Consiglio di Stato, come già si è accennato, ne ha tratto argomenti negativi circa la richiesta di parte regionale di poter disciplinare con leggi regionali la costituzione e l'organizzazione dello sportello unico.

Per concludere che, essendo lo sportello unico "finalizzato all'esecuzione di tutti gli adempimenti in materia edilizia (di competenza comunale)", è "indispensabile che la disciplina dello stesso sia dettata sempre dal Comune che se ne avvale".

Tutt'al più, continua il Consiglio di Stato, sarebbe consentita "una clausola di salvezza degli interventi normativi regionali per i Comuni di minore dimensione demografica, ai sensi dell'art. 33 del d.lgs. n. 267/2000".

La difesa così espressa dell'autonomia comunale sembre­rebbe però provare troppo: parrebbe, seguendo fino al limite  quel ragionamento, di dover arrivare fino ad escludere quasi ogni possibilità regionale di disciplinare con sue leggi la materia edilizia, dato che essa è, nei suoi risvolti amministrativi e nella sua concreta gestione, di indubbia competenza comunale.

Anche la decisione circa la soppressione della Commissio­ne edilizia è stata ritenuta dal Consiglio di Stato rientrante fra le scelte da compiersi, da parte delle singole amministrazioni comunali, "nell'ambito del regolamento comunale".

Il Governo, da parte sua, sottolinea nella relazione, dopo aver illustrato brevemente le novità introdotte in tema di procedimento, che "per quanto attiene invece al profilo organizzativo, la varietà e la disomogeneità delle realtà locali richiedono che sia rimessa all'autonomia normativa del comune, singolarmente o in forma associata, la puntuale definizione dell'assetto organizzativo per meglio rispondere alle esigenze e alle possibilità del singolo ente".

E continua, con riferimento al tema dello sportello unico, che "ciascun Comune potrà per­tanto autonomamente definire l'assetto organizzativo dello sportello, così come quello degli uffici e delle strutture interne destinate a coadiuvare lo sportello unico in sede procedimentale.

In quest'ottica va letta l'eliminazione dell'obbligatorietà del parere della Commissione edilizia e la previsione del potere del comune di individuare altre istanze consultive".

Quanto poi al delicato tema del raccordo fra lo sportello unico e gli altri uffici comunali competenti in tema di edilizia, si fa notare che "è senza dubbio auspicabile che i comuni, adeguando le norme statutarie e regolamentari, regolino i rapporti tra lo sportello e i singoli uffici comunali, nonché tra lo sportello e gli altri uffici (compresi vigili del fuoco e azienda sanitaria locale) cui spetta il rilascio di pareri e l'effettuazione di verifiche endoprocedimentali".

Le notazioni del Governo sembrerebbero essere formulate in base a valutazioni di opportunità: opportuno lasciare l'organizzazione dello sportello al comune, auspicabile che il comune disciplini il raccordo di quell'ufficio con gli altri.

3.1 I singoli compiti dello sportello

Tutto questo premesso sulla collocazione nel sistema della norma che ci interessa, e pur con il rischio che quanto si è detto faccia apparire meno rilevante un puntuale esame delle sue previsioni, si tratta ora di valutare nel merito e nel dettaglio la formula organizzativa che risulta dall'art. 5 del Testo Unico.

Lo sportello unico è, nell'art. 5 del T.U., un ufficio che "cura tutti i rapporti fra il privato, l'amministrazione e, ove occorra, le altre amministrazioni tenute a pronunciarsi" sull'intervento edilizio che si chiede di autorizzare o il cui inizio viene denunciato.

Là prima e complessiva caratterizzazione dell'ufficio è dunque di un’"interfaccia" (come orribilmente direbbe un informatico), vale a dire di un punto di contatto e di raccordo fra privato e amministrazione, o meglio fra privato e amministrazioni, visto che la sostanza innovativa dell'idea di sportello unico sta proprio, fin da quando se ne è cominciato a parlare, nella unificazione in un solo ufficio e in una sola sede fisica dei molteplici "terminali" cui il richiedente dovrebbe accostarsi, e nella concentrazione in un unico atto delle molteplici domande che il privato dovrebbe altrimenti proporre.

Al fondo vi è non solo una ben comprensibile (e anche economicamente significativa) esigenza di risparmiare tempo e sforzi, ma, più in profondità, l'idea che la società civile e il mondo della produzione e del commercio hanno il diritto di restare estranei e indifferenti alle esigenze di divisione del lavoro interne all'apparato pubblico e alle articolazioni organizzative e funzionali delle competenze amministrative, sì che non è affar loro individuare e contattare le varie pubbliche strutture cui siano state conferite competenze su singoli aspetti di un progetto, ma è al contrario dovere dell'amministrazione fare in modo che alla sostanza unitaria, dal punto di vista economico o sociale, di una operazione progettata (aprire uno stabilimento industriale, costruire un edificio di abitazione) corrisponda un solo contatto con l'apparato pubblico.

A ben vedere quindi l'idea della unificazione procedimentale, che si vedrà essere, per quanto debolmente realizzata, uno dei punti notevoli della nuova disciplina, sta in nuce proprio nella nozione corrente di sportello unico.

3.2 Articolo 5 (R) del Testo Unico dell'edilizia n.380\2001

Le amministrazioni comunali, nell’ambito della propria autonomia organizzativa, provvedono, anche mediante esercizio in forma associata delle strutture ai sensi del capo V, titolo II del D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267, ovvero accorpamento, disarticolazione, soppressione di uffici o organi già esistenti, a costituire un ufficio denominato sportello unico per l’edilizia, che cura tutti i rapporti con il privato, l’ amministrazione e, ove occorra, le altre amministrazioni tenute a pronunciarsi in ordine all’ intervento edilizio oggetto della richiesta di permesso o di denuncia di inizio attività.

Tale ufficio provvede in particolare:

  1. alla ricezione delle denunce di inizio attività e delle domande per il rilascio di permessi di costruire e di ogni altro atto di assenso comunque denominato in materia di attività edilizia, ivi compreso  il certificato di agibilità, nonché dei progetti approvati dalla Soprintendenza ai sensi e per gli effetti degli articoli 36, 38  e 46 del D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490;
  2. a fornire informazioni sulle materie di cui  al  punto a), anche mediante  predisposizione di un archivio informatico contenente i necessari elementi  normativi, che  consenta  a chi abbia interesse l’accesso gratuito, anche in via telematica, alle informazioni sugli adempimenti necessari per lo svolgimento delle procedure previste dal presente regolamento, all’ elenco delle domande presentate, allo stato del loro iter procedurale, nonché a tutte le possibili informazioni utili disponibili;
  3. all’adozione, nelle medesime materie, dei provvedimenti in tema di  accesso ai documenti amministrativi in favore di chiunque vi abbia interesse ai sensi dell’articolo 22 e seguenti della Legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché delle norme comunali di attuazione;
  4. al rilascio dei permessi di costruire, dei certificati di agibilità, nonchè delle certificazioni attestanti le prescrizioni normative e le determinazioni provvedimentali a carattere urbanistico, paesaggistico – ambientale, edilizio e di qualsiasi altro tipo comunque rilevanti ai fini degli interventi di trasformazione edilizia del territorio;
  5. alla cura dei rapporti tra l’amministrazione comunale, il privato e le altre amministrazioni chiamate a pronunciarsi in ordine all’intervento edilizio oggetto dell’istanza o denuncia con particolare riferimento agli adempimenti connessi all’applicazione della parte seconda del Testo Unico.

Ai fini del rilascio del permesso di costruire o del certificato di agibilità, l’ ufficio di cui al comma 1 acquisisce direttamente, ove questi non siano stati già allegati dal richiedente:

  1. il parere dell’ A.S.L. nel caso in cui non possa essere sostituito da una autocertificazione ai sensi dell’ articolo 20, comma 1;
  2. il parere dei vigili del fuoco, ove necessario,inordine al rispetto della normativa antincendio.

L’ ufficio cura altresì gli incombenti necessari ai fini dell’acquisizione, anche mediante conferenza di servizi ai sensi degli articoli 14, 14 bis, 14 ter, 14 –quater della Legge 7 agosto 1990, n. 241, degli atti di assenso, comunque denominati, necessari  ai fini della realizzazione dell’ intervento edilizio.
Nel novero di detti assensi rientrano, in particolare:

  1. le autorizzazioni e certificazioni del competente ufficio tecnico della regione, per le costruzioni in zone sismiche di cui agli articoli 61, 94 e 62;
  2. l’ assenso dell’amministrazione militare per le costruzioni nelle zone di salvaguardia contigue ad opere di difesa dello Stato o a stabilimenti militari, di cui all’ articolo 16 della Legge 24 dicembre 1976, n. 898;
  3. l’autorizzazione del direttore della circoscrizione doganale in caso di costruzione, spostamento e modifica di edifici nelle zone di salvaguardia in prossimità della linea doganale e nel mare territoriale, ai sensi e per gli effetti dell’ articolo 19 del D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 347;
  4. l’ autorizzazione dell’ autorità competente per le costruzioni su terreni confinanti con il demanio marittimo, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 55 del codice della navigazione;
  5. gli atti di assenso, comunque denominati, previsti per gli interventi edilizi su immobili vincolati ai sensi degli articoli 21, 23, 24, e 151 del D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, fermo restando che, in caso di dissenso manifestato dal-  l’amministrazione preposta alla tutela dei beni culturali, si procede ai sensi dell’articolo 25 del D.Lgs. n. 29 ottobre 1999,  n. 490;
  6. il parere vincolante della  Commissione per la salvaguardia di Venezia, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 6 della Legge 16 aprile 1973, n. 171, e successive modificazioni, salvi  i casi in cui vi sia stato l’adeguamento al piano comprensoriale previsto dall’ articolo 5 della stessa legge, per l’ attività edilizia nella laguna veneta,nonché nel territorio dei centri storici di Chioggia e di Sottomarina e nelle isole di Pellestrina, Lido e Sant’ Erasmo;
  7. il parere dell’ autorità competente in tema di assetti e vincoli idrogeologici;
  8. gli assensi in materia di servitù varie ,ferroviarie, portuali ed aeroportuali;
  9. il nulla-osta dell’autorità competente ai sensi dell’ articolo 13 della Legge 6 dicembre 1991, n. 394, in tema di aree naturali protette.

3.3 La Costituzione dello sportello unico per l'edilizia (SUE)

Le amministrazioni comunali devono provvedere a costituire lo Sportello unico per  l’edilizia a cui è  demandata la cura dei rapporti tra i privati, richiedenti permessi edilizi o denuncianti l’inizio di un’attività edilizia, e l’amministrazione comunale e, se del caso, le altre amministrazioni tenute ad assumere provvedimenti in ordine all’intervento edilizio.

La costituzione dello SUE è quindi obbligatoria per ciascun Comune   ( in forma singola o associata), anche se non sono previsti termini temporali né sanzioni per l’ ipotesi di mancata istituzione, essendo tale attività affidata all’ autonomia organizzativa dell’ ente locale.

Il  provvedimento istitutivo dello SUE presuppone una delibera del Consiglio comunale, che, ai sensi dell’ articolo 42 del TUEL (Testo unico sugli Enti locali) n. 267/2000, è competente per la definizione dei criteri generali in materia  di ordinamento degli uffici e dei servizi, nonché per la decisione sulla  gestione in forma associata dell’ ufficio.

Tale  conclusione non sembra poter essere smentita in base al dato testuale del comma 1 dell’ articolo 5, facente riferimento sic et simpliciter alle amministrazioni comunali:  l’espressione utilizzata dal legislatore appare sintomatica di un diffuso decadimento della tecnica di redazione delle norme e di una scarsa attenzione al corretto uso della terminologia giuridica, ma può  ritenersi che la disposizione in questione non sia diretta ad individuare un  organo competente all’ adozione del provvedimento istitutivo del nuovo ufficio, bensì soltanto a prevedere un obbligo dei Comuni di dotarsi di tale  struttura.

In tal senso, si ritiene di affermare che essa significhi che è il Comune in quanto pubblica amministrazione ad essere tenuto alla costituzione dello SUE.
Alla Giunta spetterà propriamente la costituzione dello SUE, alla luce della competenza ad essa attribuita di organizzare nei dettagli gli uffici comunali , nel rispetto dei criteri generali elaborati con la delibera del Consiglio, mediante l’ adozione di apposito regolamento ai sensi dell’ articolo 48 del TUEL e l’individuazione del personale e dei mezzi da assegnare al nuovo ufficio.

La norma in commento fornisce alcuni “suggerimenti” sulle concrete modalità di realizzazione del nuovo ufficio, prevedendo espressamente la possibilità di accorpare o disarticolare  o sopprimere uffici od organi già esistenti, per arrivare a creare una struttura unica in grado di assolvere a tutti gli adempimenti amministrativi necessari per la realizzazione di un intervento edilizio.

Tali specificazioni appaiono, invero, superflue, atteso che  il nuovo ordinamento degli enti locali lascia ampia discrezionalità agli organi di governo comunali di organizzare gli uffici in modo tale da soddisfare le esigenze locali, consentendo anche di conseguire  risparmi di spesa e recupero di efficienza nei procedimenti amministrativi, anche mediante la soppressione di organismi collegiali ritenuti superflui ( articolo 96 TUEL).

Ad ogni modo, proprio la natura regolamentare della norma in commento consente di considerare le ipotesi di accorpamento, disarticolazione o soppressione come delle possibili soluzioni per la effettiva organizzazione del nuovo ufficio.

L’ aspetto imprescindibile resta comunque quello della unicità dell’ ufficio, presso il quale devono svolgersi le operazioni amministrative connesse  ad un intervento edilizio.

Il compito di designare il responsabile del nuovo ufficio spetta, invece al Sindaco ai sensi dell’ articolo 50 del TUEL.

Lo sportello potrà essere considerato operativo, ai fini dell’ espletamento dei compiti assegnatigli dalla norma in commento, soltanto con l’ effettiva destinazione del personale e delle risorse necessari al suo funzionamento.

Tale adempimento è bene che avvenga entro la data di entrata in vigore del TUE in quanto, da un lato, mancano norme sanzionatorie  che prevedano poteri  di sostituzione, dall’altro, interviene immediatamente l’ effetto abrogativo delle norme incompatibili previgenti in materia di edilizia e urbanistica, ed inoltre non sono state previste disposizioni transitorie atte a regolare il passaggio al nuovo sistema procedurale.

La decisione più importante e qualificante che riguarda la fase  istitutiva dello SUE è quella relativa alla  scelta dell’ esercizio in forma singola o associata.

Tale facoltà è ribadita dalla norma in commento che richiama le disposizioni del Capo V del Testo unico degli enti locali relativamente ai Comuni in forma associata e ai compiti loro spettanti.

E’ noto che il territorio italiano è suddiviso in oltre 8000 Comuni, la gran parte dei quali non supera i 5000 abitanti, messi continuamente alla prova sul piano dell’efficienza dal sempre maggiore decentramento di funzioni sia da parte dello Stato che delle Regioni.

Tali difficoltà crescono  per i Comuni di piccole dimensioni, i quali potrebbero risultare di fatto inadempienti alle disposizioni legislative, ed inidonei a sostenere, in particolare, i nuovi compiti affidati in campo edilizio, con danno delle collettività amministrate.

Per i piccoli  Comuni, pertanto,sarà fondamentale e vantaggioso concentrare le funzioni ad essi  attribuite in servizi associati con altri Comuni, ed ottimizzare, in tal modo, le risorse impiegate e la qualità dei servizi stessi.

A nulla potranno valere obiezioni a carattere meramente campanilistico in ordine alla scelta dell’esercizio in forma associata, soprattutto in considerazione della ormai consolidata separazione della funzione politica degli amministratori da quella amministrativa dei responsabili di settore e stante la permanenza in capo al singolo Comune del potere di pianificazione urbanistica, con affidamento della sola funzione gestionale ad un ufficio promanante da più  amministrazioni comunali.

Quel che conta è che le amministrazioni più lungimiranti sapranno cogliere a loro vantaggio la sfida in un certo senso loro lanciata dalla normativa in commento, poiché per molte realtà locali la chiave del successo dello SUE si troverà nella gestione associata mediante una delle forme previste e disciplinate dal capo V del Testo unico enti locali n. 267/2000.

Tale facoltà di scelta ricalca quella consentita ai Comuni in relazione allo SUAP dal D.P.R. n. 447/98 e, prima ancora, dal principio organizzativo contenuto nell’ articolo 24, comma 1, del D.Lgs. n.112/98, tant’ è che molti Comuni si sono determinati ad istituire il SUAP in associazione con altre municipalità limitrofe o con le rispettive Comunità montane nel cui ambito territoriale essi ricadono.

Ciò premesso, occorre dare risposta al l’interrogativo se sia necessario, in occasione dell’istituzione in forma associata del nuovo servizio, confermare le stesse intese già raggiunte per lo SUAP.

Prima facie, sembrerebbe di sì, per soddisfare esigenze di coerenza decisionale,  trasparenza dei procedimenti ma su tale punto di vista, la conclusione non appare poi così consequenziale: le caratteristiche dei due uffici, infatti, sono simili ma non perfettamente coincidenti, onde può  ben verificarsi in concreto che un Comune sia associato con altri 9 ai fini dell’ esercizio dello SUAP, ma scelga di costituire lo SUE solo con alcuni di essi.

Tale considerazione deriva dal fatto che  l’ attività edilizia di cui si occupa lo SUE è di portata più vasta di quella di competenza dello SUAP e richiede un impegno maggiore, anche in Comuni di limitate dimensioni (basterà qui citare ad esempio i c.d. comuni-dormitorio, connotati da scarsa vocazione industriale ma da fenomeni di incremento della popolazione).

Appare comunque preferibile in linea di principio la prima soluzione, in quanto le pratiche che postulano interventi di carattere edilizio e urbanistico da  trattarsi presso lo SUAP associato dovrebbero essere trasmesse ad un ufficio diverso (lo SUE),esercitato in forma associata ma con diversa composizione, così vanificando gli obiettivi di semplificazione amministrativa tenacemente perseguiti da tutti gli interventi legislativi degli ultimi anni.

Resta ferma la valutazione assolutamente favorevole della costituzione in forma associata dello SUE (quanto meno per i Comuni più piccoli), la quale consentirà di mettere a disposizione dell’ utenza, anziché un ufficio funzionante ad esempio a giorni alterni, per l’impossibilità di preporre dipendenti ad esso esclusivamente addetti, un servizio a pieno regime, con evidenti vantaggi in termini di continuità ed efficienza dell’ azione amministrativa ottimizzazione delle risorse umane e strumentali economicità.

Dal punto di vista delle spese per la gestione della struttura, gli Enti potranno liberamente stabilire criteri di ripartizione in occasione della stipula delle rispettive convenzioni, con possibilità di distinguere diverse modalità di suddivisione dei costi di costituzione ( ad esempio, in misura uguale tra tutti gli associati) rispetto a quelli di gestione (eventualmente da differenziare in rapporto ai carichi di lavoro rilevati in base alla riferibilità territoriale delle pratiche).

3.4 Le funzioni dello sportello unico per l'edilizia

L’aspetto  veramente innovativo dello SUE è dato dalle funzioni che ad esso sono state attribuite dal legislatore le quali, in linea generale, consistono nella cura dei rapporti tra cittadino e pubbliche amministrazioni (comunali e no).

Nello specifico, al nuovo ufficio sono demandate funzioni o compiti ben individuati nei commi successivi al primo dell’articolo 5.

L’elenco è particolarmente dettagliato ed è suddiviso nei vari commi in dipendenza o meno della pertinenza delle funzioni all’amministrazione comunale o alle altre amministrazioni eventualmente tenute a pronunciarsi sull’intervento richiesto.

Invero, il comma 2 indica le competenze dello SUE che si esauriscono nell’ambito delle potestà comunali, mentre i commi 3 e 4 sono relativi alle attività dello SUE connesse a quelle delle altre amministrazioni coinvolte.

In tutti i casi, e dato rinvenire profili di novità quanto all’attribuzione di competenze agli uffici comunali: questi, infatti, in passato, non erano certamente tenuti a svolgere accertamenti ad ampio raggio in ordine all’acquisizione di atti di assenso autorizzazione di pertinenza di altre amministrazioni, né tantomeno a fornire informazioni che non fossero di stretta pertinenza comunale.

Lo Sportello unico per l’edilizia è, innanzitutto, ai sensi dell’articolo 5 comma 2, chiamato ad occuparsi di ricevere qualunque istanza o dichiarazione di privati concernente l’attività edilizia da riguardante il territorio di sua competenza.

Esso è, inoltre,destinatario dei progetti che vengono approvati ed inviati dalla Sovrintendenza per i beni culturali e ambientali ai sensi degli articoli 36, 38 e 46 del D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, T.U. delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali.

Pertanto lo SUE svolge una funzione di centro collettore degli atti dei privati rilevanti in campo edilizio, qualunque sia l’amministrazione destinataria.
Il privato, dal canto suo, è libero di scegliere se consegnare le istanze e gli atti riguardanti le amministrazioni non comunali  allo SUE o direttamente a quelle.

Nel primo caso lo SUE sarà investito del compito di curare l’acquisizione dei pareri o provvedimenti delle altre amministrazioni, trasmettendo loro la documentazione necessaria e appositamente presentata dal richiedente;
nel secondo caso sarà lo stesso privato a presentare l’istanza e a seguire l’istruttoria presso ciascuna amministrazione non comunale, chiamata ad interloquire sull’intervento edilizio.

La sola eccezione è costituita dal caso, espressamente previsto dalla norma in commento, in cui il privato debba eseguire opere su beni sottoposti a tutela ai sensi delD.Lgs. n.490\1999, per le quali egli è tenuto a preventivamente procurarsi l’approvazione del Soprintendente, ex articolo 23 del suddetto D. Lgs.
Tale approvazione, unitamente al progetto, dovrà essere trasmessa a cura della stessa soprintendenza ai sensi degli articoli 36 e 38 del D.Lgs. n. 499\1990 ( o del Ministero dei Beni Culturali, nel caso dell’articolo 46 ) allo SUE competente per territorio e non più al Comune interessato, come previsto letteralmente nelle disposizioni citate.

Per svolgere tale attività occorrerà, pertanto, predisporre un adeguato sistema di ricezione della documentazione, affinché essa venga ordinatamente protocollata ed eventualmente smistata alle diverse amministrazioni.
Deve considerarsi naturalmente inerente alla funzione di ricezione quella del controllo della completezza della documentazione, oltre che della sua regolarità formale; diversamente intendendosi, verrebbe svilita la stessa funzione a mero automatismo, mentre l’intento del legislatore è quello di qualificare i compiti amministrativi, limitando quanto più possibile le cause di interruzione del procedimento per necessità di integrazioni documentali.

In riferimento alla competenza dello SUE a ricevere ogni tipo di domanda, bisogna riferirsi in particolare alla domanda per il rilascio dei permessi di costruire e le denuncie di inizio attività (art.5, comma 2, lett. a); la domanda di rilascio del certificato di agibilità (art.25), che va accompagnata dalla richiesta di accatastamento dell’edificio, che lo stesso sportello unico provvede a trasmettere al Catasto; la denuncia dei lavori di realizzazione, e la relativa relazione a struttura ultimata, delle opere di conglomerato cementizio armato, normale e precompresso ed a struttura metallica (art.65).

Allo sportello (art 67) va anche presentato l’atto di nomina del collaudatore scelto dal committente; ad esso, oltre che al collaudatore, va comunicato da parte del direttore dei lavori il completamento della struttura, e gli va comunicato l’invio del certificato di collaudo (che, forse, va depositato in copia allo sportello, ma la disposizione non è chiara).

Allo sportello unico, che ne trasmette copia all’ufficio tecnico della Regione, si deve, dare  preavviso scritto delle costruzioni, riparazioni e sopraelevazioni da effettuare in zone sismiche (art.93), e presso lo sportello, contestualmente al progetto edilizio, si deposita il progetto degli impianti tecnici (elettrico, radiotelevisivo, di riscaldamento e climatizzazione, idrosanitari, del gas, di ascensore ed antincendio) (art.111), oltre che la certificazione relativa al collaudo degli stessi.

Sempre in tema di impianti, va depositato presso lo sportello unico per l’edilizia, il progetto e la dichiarazione di conformità o il certificato di collaudo degli impianti nuovi realizzati su edifici esistenti (art.117), e ancora la denuncia dei lavori, il progetto e la relazione tecnica per gli impianti relativi a fonti rinnovabili di energia (c.d. solari) (art.125).

Oltre alla ricezione di questa cospicua serie di atti e domande, spetta sempre allo sportello ricevere la richiesta con la quale l’interessato, nel caso di mancata adozione nei termini del permesso di costruire, sollecita il provvedimento, per poi eventualmente rivolgere la richiesta di intervento sostitutivo regionale (art.121).

Con l’attribuzione allo SUE della c.d. funzione informativa realizzata attraverso il disposto dell’articolo 5 comma 2, lett. b) del TUE, il legislatore ha inteso attuare in ambito edilizio i principi posti a fondamento della riforma amministrativa in corso di questi anni, miranti a trasformare il ruolo della Pubblica Amministrazione da “controparte” a “collaboratrice” del privato.

In tal senso, lo SUE deve poter fornire in materia di attività edilizia le informazioni utili ai privati circa i vincoli normativi, regolamentari, pianificatori, nonché circa le prescrizioni relative ai documenti.

Tale funzione deve essere espletata non solo con l’allestimento di un servizio di assistenza al pubblico presso la sede dell’ufficio, ma anche con la predisposizione di un sistema informatico, che consenta l’accesso gratuito ai privati interessati.
Ai privati è data pure la possibilità di consultare l’elenco delle domande già presentate e lo stato del loro iter procedurale.
L’utente potrà in sostanza conoscere se sono state già presentate istanze relative ad interventi edilizi rispetto ai quali egli si trovi in posizione di cointeressato o controinteressato e a quale stadio procedurale l’istanza sia pervenuta.

Così, per esempio, il proprietario di un’abitazione, posta di fronte ad un’area edificabile, per la quale sia stata presentata domanda di rilascio del permesso di costruzione di un complesso immobiliare, rispetto al titolare di tale permesso, avrà titolo per verificare l’iter della domanda e l’oggetto di essa.
  Altra caratteristica del sistema di accesso alle informazioni è la gratuità.

Giova precisare che il legislatore limita detta gratuità solo all’accesso puro e semplice alle informazioni e non anche al rilascio di copie o comunque alla stampa delle informazioni acquisite.

In questo caso, in conformità a quanto previsto per l’accesso ai documenti in generale dall’articolo 25 della Legge 7 agosto 1990, n. 241 ( ove si stabilisce che in caso di estrazione di copia di quanto consultato, è dovuto il rimborso del costo di produzione), si ritiene possibile esigere diritti o rimborsi spese per il rilascio di copie o per la stampa di moduli normativi (leggi, regolamenti locali, circolari, norme tecniche, modulistica).

In altre parole, lo SUE viene individuato dall’articolo 5 comma 2, lettera d) come soggetto passivo del diritto di accesso esercitatile da parte dei cittadini che abbiano un dimostrato interesse e perciò deve assicurare l’adozione dei provvedimenti in materia di accesso alla documentazione amministrativa in tema di attività edilizia, ai sensi degli articoli 22 e segg. Legge n.241\90 e delle disposizioni comunali di attuazione.

Sembra opportuno ricomprendere, nell’ambito della normativa disciplinante l’accesso dei privati ai documenti amministrativi, per quanto la disposizione in commento non ne faccia menzione, il regolamento esecutivo emanato con D.P.R. n.352\92, in base al quale sono stati poi adottati i regolamenti comunali di attuazione.
L’accesso dei terzi, quindi ai dati archiviati, alla stregua della formulazione della norma deve essere sostenuto da un dimostrato interesse e lo SUE ha il dovere di valutare la meritevolezza della richiesta ed emanare il provvedimento conseguente (eventualmente a contenuto negatorio o limitativo), avverso il quale il richiedente potrebbe opporre impugnazione giurisdizionale.

È questo, a ben vedere, un compito di tipo inequivocabilmente provvedimentale assegnato allo SUE.

A parere di Vittorio Italia, sarebbe stato opportuno anteporre l’enunciazione della funzione in commento a quella informativa, visto che quest’ultima è stata estesa anche all’accesso alle domande presentate e all’iter dei relativi procedimenti.

Infatti è indubbia l’antecedenza logica dell’autorizzazione all’accesso rispetto al momento dell’effettivo rilascio di informazioni sulle domande già presentate.

Culmine delle attribuzioni concentrate in capo allo SUE sembrerebbe essere la potestà provvedimentale relativa agli interventi di trasformazione edilizia del territorio.
Si tratterrebbe, comunque, di competenza non sconfinante dall’ambito di stretta pertinenza comunale, nel senso che resterebbero esclusi dalla potestà in questione tutti gli atti e provvedimenti la cui emanazione è attribuita ad altre amministrazioni.

Sennonché, ad un più approfondito esame delle norme del TUE nel loro complesso, il legislatore appare aver voluto riservare l’emissione dei provvedimenti in questione al dirigente o ai responsabili dei competenti uffici comunali, com’è dato ricavare dall’articolo 20 comma 7, e dall’articolo 25 comma 3.

In tal modo la portata innovativa dell’istituto risulta essere notevolmente ridimensionata, soprattutto avuto riguardo ai principi di semplificazione dei procedimenti e di concentrazione dell’attività amministrativa presso un’unica autorità che presidiano l’intera riforma del sistema amministrativo.

Lo SUE, quindi, non deve ritenersi l’ufficio dal quale promana l’adozione dei provvedimenti in materia edilizia (salvo quanto già osservato precedentemente), ma solo una sorta di “longa manus” dell’ufficio comunale competente, cui questo “passa” i provvedimenti già assunti al solo fine del rilascio materiale all’interessato che ne ha fatto richiesta.

L’articolo 5, comma 2, lettera e), del TUE identifica i provvedimenti cui si riferisce la funzione di consegna in esame nei permessi di costruire e gli atti nei certificati di agibilità e in genere nelle certificazioni riguardanti i vincoli e le prescrizioni normative o regolamentari vigenti in materia urbanistica, paesaggistico – ambientale, edilizia e comunque connessa ad un intervento edilizio (ad esempio in materia di igiene).

Giova qui precisare che tutti gli atti promananti dallo SUE devono essere adottati dal dirigente dell’ufficio o comunque dal responsabile del procedimento nei casi in cui a quest’ultimo sia stata attribuita espressa facoltà in tal senso.

Lo Sportello cura poi i rapporti tra amministrazione comunale, privato e altre amministrazioni.

Con il secondo comma dell’articolo 5, lett. f),il legislatore pone maggior enfasi agli adempimenti connessi all’applicazione della seconda parte del Testo Unico n. 380\2001.

Infatti, nel definire i requisiti e gli adempimenti a carico del privato che intenda realizzare una  costruzione civile, il Testo Unico medesimo disciplina in particolare una serie di ipotesi: in concreto (articolo 20 comma 2) comunica al richiedente – entro 10 giorni dalla domanda – il nominativo del responsabile del procedimento; fa lo stesso con riferimento al procedimento per il rilascio del certificato di agibilità (articolo 25, comma 2); trasmette al catasto la richiesta di accatastamento, che il privato deve presentare contestualmente alla domanda di rilascio del certificato di agibilità (artico 25, comma 1, lett a); notifica al richiedente il provvedimento di permesso di costruire (o il corrispondente rifiuto) (articolo 20 omma 7).

Stranamente però la funzione di tramite, di referente unico, di punto di contatto fra privato e amministrazione sembra venire meno (a meno che non si debba dare per sottinteso il coinvolgimento dello sportello unico anche in tal caso) proprio su un punto nuovo e di notevole interesse (articolo 20, comma 4): quando il responsabile del procedimento ritiene che, per rilasciare il permesso di costruire sia necessario portare modifiche di modesta entità al progetto originario, può richiederle (e qui ci aspetteremmo di trovare una menzione allo sportello) all’interessato, il quale si pronuncia sulla richiesta entro il termine fissato, integrando la documentazione (con deposito verosimilmente presso lo sportello ma il punto non è esplicitato) nei successivi 15 giorni.

Per inciso si può rilevate che proprio questo procedimento “contrattato”, con un dialogo collaborativo  fra amministrazione e privato, è uno dei punti che più meritano di essere apprezzati fra le previsioni del Testo Unico.

In  tal modo lo  SUE diventa il tramite essenziale nelle relazioni che il privato deve necessariamente instaurare con la pubblica amministrazione allorché egli intenda procedere ad interventi edilizi di qualunque tipo.

Fino a questo punto abbiamo dunque una sorta di ufficio relazioni col pubblico, dotato di archivio informatico, ma naturalmente vi è di più.

3.5 Competenze istruttorie dello sportello unico

In tema di interventi edilizi rilevano innanzitutto i casi in cui si rende necessario acquisire il parere dell’Azienda Sanitaria Locale e\o il parere (rectius: certificato prevenzione incendi) del comando provinciale Vigili del fuoco.

Lo sportello unico, ove non siano già stati allegati  dal richiedente, acquisisce direttamente il parere dell’ASL (sempre che questo non sia allegato alla domanda dal privato che si sia attivato per procurarselo, e sempre che non sia sostituito da autocertificazione, come è possibile – e anche questa è una novità che è stata molto gradita – (articolo 20 comma 1) quando la conformità alle norme igienico sanitarie riguardi un progetto di interventi di edilizia residenziale o quando la verifica circa tale conformità non comporti valutazioni tecnico -  discrezionali salvo naturalmente capire in quali casi una valutazione circa la conformità igienico – sanitaria non comporti davvero nessun profilo di discrezionalità tecnica almeno quanto alla ricognizione di elementi riconoscibili in base ad un apprezzamento non meccanico, non automatico e certo).

Lo sportello acquisisce poi anche di sua iniziativa il parere dei vigili del fuoco sugli aspetti della sicurezza /articolo 5 comma 3); tale parere concerne il rispetto della normativa antincendio ed è previsto tassativamente ricorrendo determinate ipotesi come, ad esempio, in presenza di autorimesse con più di nove posti auto o di caldaie che sviluppino più di 100 mila k \ calorie (116 kw).

Tali pareri, peraltro, possono essere acquisiti direttamente a cura dell’interessato (non essendo unico il procedimento per il rilascio del permesso di costruzione com’è invece quello presso lo sportello unico per le attività produttive (SUAP)), e in questo caso l’attività dello SUE si limita alla ricezione del parere già rilasciato al privato.

In difetto, quindi, di iniziativa del privato presso ASL e VV.FF. all’esito della presentazione della domanda sprovvista dei pareri prescritti, lo SUE provvede ad acquisirli direttamente.
Ciò può avvenire naturalmente solo previa predisposizione di idonea documentazione tecnica da parte del privato il quale verrà invitato a farvi fronte qualora non vi abbia provveduto spontaneamente.

Nonostante qualche opinione in contrario è pacifico che la prassi sia attualmente nel senso che tali atti siano prodotti a cura ed onere del richiedente.
La novità è dunque significativa e sarà certo apprezzata dal pubblico.

Ma le nuove previsioni appaiono davvero significative, dal punto di vista dell’utilità per il privato là dove dispongono che sia lo sportello (o meglio il responsabile del procedimento tramite lo sportello, come precisa l’articolo 20 comma 3 che dice che è il responsabile del procedimento che acquisisce, avvalendosi dello sportello unico, i pareri di cui all’articolo 5 comma 3 e i pareri dagli uffici comunali) ad acquisire gli atti di assenso che invece fin’ora andavano richiesti separatamente dal privato alla competente autorità: assenso per interventi su immobili vincolati (nulla osta della soprintendenza), autorizzazioni per costruzioni in zone sismiche, parere in tema di vincoli idrogeologici (articolo 5, comma 3), assensi in tema di servitù varie ferroviarie eccetera, nulla – osta della autorità di parco.

Alcuni interventi edilizi postulano ulteriori pareri o atti di assenso rispetto a quelli sopra menzionati.

È demandato allo SUE di attivarsi affinché vengano compiuti gli incombenti necessari per l’acquisizione di detti provvedimenti, eventualmente ricorrendo alle procedure disciplinate dalla legge n. 241\1990, articolo 14 e segg. sulla Conferenza di servizi.

La formulazione della disposizione è piuttosto vaga, in quanto non è dato a prima vista comprendere in cosa consista l’attività di cura richiesta allo SUE: potrebbe, infatti, ritenersi che l’ufficio sia tenuto direttamente a muovere gli opportuni passi presso le altre amministrazioni ai fini del rilascio dei rispettivi atti di assenso, così come potrebbe opinarsi che l’attività richiesta all’ufficio si limiti ad un richiamo rivolto al privato affinché questi si attivi in prima persona presso tali altre amministrazioni, intervenendo eventualmente soltanto ove si renda necessario o semplicemente opportuno procedere mediante Conferenza di Servizi.

A parere di Vittorio Italia, la seconda opinione è quella preferibile, in quanto maggiormente rispondente al disegno dello SUE come tracciato dal legislatore, che non ha inteso riunire le procedure di competenza di diverse amministrazioni presso un unico ufficio.

Sorge infine il dubbio che il legislatore abbia voluto introdurre una distinzione, ai fini degli effetti, tra il rilascio dei pareri dell’ASL e VV.FF. e quelli degli altri enti elencati al comma in questione: il rilascio dei primi sembrerebbe indispensabile per l’ottenimento del permesso di costruire, mentre i secondi sarebbero necessari soltanto ai fini della realizzazione dell’intervento edilizio e cioè in una fase successiva al rilascio del provvedimento concessorio.

Altra perplessità ancora, scaturisce dalla constatazione che il comma 4, come del resto l’intera norma in commento, non individua che si verta di un’attività meramente sollecitatoria, essa ben può essere svolta da un qualsiasi impiegato addetto all’istruttoria del procedimento; se invece si ritiene che tale cura si estenda alla richiesta di rilascio degli atti di assenso, essa rientra nelle attribuzioni del dirigente o del responsabile dell’ ufficio in quanto attività avente valenza esterna.

In ogni caso qualora si debba ricorrere alla Conferenza di servizi essa dovrà essere comunque condotta dal responsabile del procedimento (o dal dirigente) che assume il ruolo di coordinatore del procedimento connesso a tale Conferenza.

Sulla obbligatorietà della Conferenza dei servizi, ha espresso il proprio parere anche   Daniele Corletto:  per le attività edilizie per le quali occorre, come nel caso ci si trovi in zone vincolate, oltre alla concessione edilizia, anche il nulla osta o l’autorizzazione di altra amministrazione, spettava già prima dell’entrata in vigore del T.U., all’amministrazione comunale indire (obbligatoriamente) la Conferenza dei servizi, ed al interessato sollecitarne la convocazione.

In ogni caso le nuove disposizioni del Testo Unico, unificando in un unico procedimento più procedimenti fin’ora paralleli fra di loro renderebbero ora applicabile il secondo comma dell’articolo 14, della legge 241\1990, nel testo risultante dall’articolo 9 della legge n. 340 del 2000, che impone come obbligatoria la Conferenza di servizi nel caso in cui l’amministrazione procedente deve acquisire intese, concerti, nulla osta o assensi comunque denominati di altre amministrazioni pubbliche e non li ottenga entro 15 giorni dall’inizio del procedimento, avendoli formalmente richiesti.

È possibile ipotizzare, secondo Corletto, allora che il responsabile del procedimento, nei 60 giorni che ha a disposizione per l’istruttoria, abbia due possibilità: o procedere direttamente alla convocazione della conferenza di servizi ( secondo quanto prevede il comma 6 dell’articolo 20 del T.U.), o cercare di tenere gli atti di assenso alle altre amministrazioni coinvolte, e solo in caso di loro inerzia, convocare la conferenza (secondo la previsione generale dell’articolo 14, comma 2, della legge n.241 del 1990).

Sul punto dell’obbligatorietà della convocazione della conferenza di servizi va però evidenziata una difficoltà, provocata dal mancato coordinamento fra l’articolo 5 e l’articolo 20 del Testo Unico.

All’articolo 20, comma 6, si prevede che quando sia necessario acquisire atti di assenso di altre amministrazioni, diverse dalla ASL e dai Vigili del fuoco, il “competente ufficio comunale” (perché non dire: il responsabile del procedimento) “convoca una conferenza dei servizi”.

La formula fa pensare che la conferenza di servizi sia l’unico, doveroso, modo in cui tali assensi possono essere acquisiti.

L’ art. 5 , comma 4, dice invece che l’ufficio (sportello unico) cura gli incombenti necessari ai fini dell’ acquisizione, anche mediante conferenza di servizi, degli atti di assenso.

Pare dunque che l’acquisizione degli atti di assenso sia compito dello sportello, e che la  conferenza di servizi sia solo uno dei possibili modi (facoltativo, ovvero” di secondo livello”) per arrivarvi.

Si direbbe però che l’ interpretazione delle norme regolamentari del testo unico debba essere effettuata alla luce delle disposizioni della legge 241, destinate comunque a prevalere sulle prime in caso che il contrasto non fosse sanabile per via interpretativa: l’ obbligatorietà della convocazione della conferenza di servizi dovrebbe sussistere solo dopo che, richiesti gli assensi necessari alle altre amministrazioni competenti, queste non si pronuncino entro 15 giorni (non dalla richiesta, ma) dall’ inizio del procedimento.

Oltre al punto della obbligatorietà o no della conferenza di servizi vi è poi il problema di chi sia esattamente competente alla convocazione della conferenza stessa.
Il punto è confuso: in accordo con l’ art.6 della legge 241 del 1990 la convocazione della conferenza spetta al responsabile del procedimento.

Nel  testo unico si dice invece che (art. 20, comma 6) “il competente ufficio comunale” convoca una conferenza (non vi è quindi una indicazione puntuale).

L’ espressione è generica e anche non del tutto esatta: non è l’ ufficio che convoca, ma il responsabile dell’ ufficio o del procedimento; inoltre l’ espressione potrebbe far pensare all’ ufficio competente al rilascio del permesso, mentre l’ art.5, comma 4, dice che l’ ufficio sportello unico “cura gli incombenti necessari ai fini dell’ acquisizione,anche mediante conferenza di servizi, degli atti di assenso…”: si penserebbe che la convocazione della conferenza sia appunto uno degli incombenti necessari all’ acquisizione…e che quindi la convocazione di essa spetti allo sportello unico (o, più esattamente, al responsabile dell’ ufficio “sportello”).

Interessante su questo punto è il confronto con la formulazione originaria del T.U., adottata dal Consiglio dei Ministri il 16 febbraio 2001.

Il comma 6 dell’ art. 20 diceva allora : “Nell’ ipotesi in cui, ai fini della realizzazione dell’ intervento, sia necessario acquisire atti di assenso,comunque denominati, di altre amministrazioni, diversa da quelle  di cui all’ articolo 4, comma 3, il responsabile del procedimento indice una conferenza dei servizi ai sensi degli articoli 14,14-bis, 14 – ter, 14- quater della legge 7 agosto 1990, n.241”.

Osservava sul punto il Consiglio di Stato, nel parere n.52/2001 reso all’ Adunanza generale il 29 marzo 2001, che il comma 4 dell’ allora art. 4- ora 5- andava riformulato, per raccordarlo con la previsione del comma 6 dell’ art.20.

Il primo disponeva che l’ ufficio (sportello unico) “cura gli incombenti necessari ai fini dell’ acquisizione,anche mediante conferenza dei servizi…degli atti di assenso necessari ai fini della realizzazione dell’ intervento edilizio…”,mentre l’ art. 20 prevedeva, come si è ricordato, al sesto comma, che, ove, sia necessario acquisire atti di assenso, “il responsabile del procedimento indice una conferenza di servizi”.

Il Consiglio di Stato faceva notare che restava non chiaro se la Conferenza di servizi potesse essere convocata dallo  sportello su richiesta del responsabile del procedimento, “che allo stato non è detto che sia il titolare del medesimo sportello”.

E’ singolare che nel dare formulazione  definitiva al t.u., il Governo non abbia modificato la previsione relativa allo sportello unico, come suggeriva il Consiglio di Stato, ma abbia invece riformulato il comma 6 dell’ art.20, dove non si parla, più ora, come di chi provvede alla convocazione della conferenza di servizi, del “responsabile del procedimento”, ma del “competente ufficio comunale.

La ragione di questa scelta, che sembra paradossalmente rispondere al rilievo del Consiglio di Stato accrescendo l’ incertezza e l’ ambiguità del testo, anziché risolverla, sta verosimilmente in ciò che si accennava sulla percezione del Governo circa la “debolezza” della fonte regolamentare, e nella conseguente scelta di lasciare sugli aspetti organizzativi delle strutture la più ampia possibilità di valutazione a ciascun Comune.

Ma di questa “timidezza” del Governo nei confronti dell’autonomia comunale, che sembra per alcuni aspetti eccessiva, una volta che ci si è comunque messi a disciplinare una struttura comunale, si è già accennato.

Nel senso di dare pieno rispetto allo spazio di autonoma determinazione organizzativa del Comune (questa volta nei confronti del potere legislativo regionale) andava del resto anche l’argomento usato dal Consiglio di Stato per escludere l’accoglibilità della richiesta delle Regioni di poter disciplinare con proprie leggi la costituzione e l’organizzazione dello sportello unico, in relazione alla quale si concludeva che “è indispensabile che la disciplina dello sportello sia dettata sempre dal Comune che se ne avvale”.

Il comma 4 dell’articolo 5 enumera a scopo espressamente semplificatorio una serie di autorizzazioni, di atti di assenso e pareri di pertinenza di specifiche amministrazioni e riguardanti interventi edilizi di natura specifica o per territorialità o per caratteristiche tecniche dell’intervento medesimo.
In dettaglio, le ipotesi enucleate sono le seguenti:

  1.  autorizzazioni e certificazioni rilasciate, per le costruzioni in zone sismiche, ai sensi degli articoli 61, 94, e 62 del TUE, dai competenti uffici tecnici regionali: si tratta dei provvedimenti che ai sensi delle norme in materia di zone sismiche o soggette a frane, devono essere posti in essere preventivamente rispetto all’esecuzione dei lavori, ovvero al termine di essi per attestarne la perfetta rispondenza ai criteri di prevenzione dei rischi correlati a terremoti e frane;
  2. assenso dell’amministrazione militare per le costruzioni nelle zone di salvaguardia contigue ad opere di difesa dello Stato o a stabilimenti militari (articolo 16, legge n. 898\1976, Nuova regolamentazione delle servitù militari): richiesto soltanto per gli interventi nel territorio dei Comuni ritenuti militarmente importanti e indicati in una tabella annessa alla medesima legge (che comprende alcune località delle province di Udine e di Gorizia ed il Comune di Trieste).
  3. autorizzazione del direttore di circoscrizione doganale per la costruzione, spostamento e modifica di edifici nelle zone di salvaguardia in prossimità della linea doganale e nel mare territoriale (articolo 19, D.Lgs. n. 374\1990, Riordinamento degli istituti doganali): tale autorizzazione condiziona il rilascio di ogni eventuale altra autorizzazione, nella quale della stessa deve essere fatta espressa menzione (articolo 19, comma 1).

La violazione del divieto comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa, e, nei casi di rilevante pericolo per gli interessi erariali, la demolizione delle opere in danno e a spese del trasgressore;

  1. autorizzazione a costruire sul demanio marittimo (articolo 55, cod. nav.) trattasi di provvedimento del capo del Compartimento marittimo richiesto per l’ipotesi di nuove opere da realizzare all’interno della fascia di trenta metri dal demanio marittimo o dal ciglio dei terreni elevati sul mare (tale fascia, per ragioni speciali in determinata località può essere determinata in misura superiore con provvedimento del presidente della repubblica). L’autorizzazione non è richiesta allorché sussistano piani regolatori o di ampliamento già approvati dall’autorità marittime i quali prevedano le costruzioni sui terreni prossimi al mare. In caso di opere abusive il Capo del Compartimento ingiunge la rimessa in pristino al contravventore entro un dato termine, decorso infruttuosamente il quale, provvede d’ufficio a spese dell’interessato;
  2. atti di assenso, comunque denominati, relativi agli interventi edilizi su immobili vincolati ai sensi degli articoli 21, 23,24, e 151 del D. Lgs n. 490\99 (T.U. delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali), fermo restando che in caso di dissenso manifestato dall’amministrazione preposta alla tutela dei beni culturali (Regione, soprintendenza o Ministero per i beni  culturali e ambientali), si procede ai sensi dell’articolo 25 del medesimo    D.Lgs: l’autorità amministrativa competente (Ministero e soprintendenza per i beni culturali e Regione per quelli ambientali) deve preventivamente approvare i progetti relativi alle opere di qualunque genere che concernono beni sottoposti a tutela. Viene altresì estesa la facoltà di ricorrere alla Conferenza di servizi prevista solo per le opere pubbliche dall’articolo 25 del D.Lgs.n. 490\1999, anche per i casi di dissenso delle autorità amministrative suddette sugli interventi ad opera di privati;
  3. parere vincolante della Commissione per la salvaguardia di Venezia (ai sensi dell’articolo 6 della legge n.171\73, Intervento per la salvaguardia di Venezia) per l’attività edilizia nella laguna veneta e nei territori dei centri storici di Chioggia,  Sottomarina ed isole di Pellestrina Lido Sant’Erasmo, sempre che non siano stati adottati gli adeguamenti al piano comprensoriale previsto dall’articolo 5 della stessa legge: la formulazione dell’ipotesi in commento fa riferimento al testo originario dell’articolo 6 della legge 171\73, senza tener conto dell’intervenuta modifica con D.L. 29 marzo 1995, n.96, il cui articolo 1 bis ha sostituito il primo comma dell’articolo 6. pertanto la commissione (presieduta dal presidente della Regione esprime il parere vincolante su tutti gli interventi di trasformazione e modifica del territorio per la realizzazione di opere  sia private che pubbliche (il parere vincolante è perciò sempre richiesto, indipendentemente dall’approvazione del piano comprensoriale adottato ai sensi dell’articolo 5 della stessa legge e contemplante l’intervento oggetto dell’approvazione.
  4. Parere dell’autorità competente in materia di assetti e vincoli idrogeologici: le Regioni, o i Comuni, su delega di quelle, devono autorizzare la realizzazione di costruzioni su terreni boschivi o soggetti a perdite di stabilità, affinché siano eliminati i fattori di rischio connessi alle attività umane sul territorio. Le zone vincolate sono appositamente individuate nelle carte topografiche custodite dai Comuni  e riportate negli elaborati grafici dei piani regolatori;
  5. Assensi in materia di servitù viarie, ferroviarie, portuali e aeroportuali: si tratta degli atti espressi dagli enti e amministrazioni preposti alla tutela degli interessi di settore, nelle materie di rispettiva competenza.

I casi sopra enumerati sono caratterizzati dalla peculiarità degli atti autorizzatori in relazione alla collocazione o alle caratteristiche geologiche del terreno ove si intende realizzare un’opera edilizia ( zona militare, marittima, sismica eccetera, ma in tale elencazione non sono state sicuramente esaurite tutte le ipotesi di pareri da parte di enti o amministrazioni.

Pertanto, al momento dell’istituzione dello Sportello unico per l’edilizia, si è dovuto procedere alla ricognizione di tutti gli organismi che in relazione alla competenza territoriale dello sportello medesimo, potrebbero dover intervenire per l’espressione di un parere o il rilascio di un autorizzazione, ed è stato opportuno stabilire i contatti del caso per la raccolta delle fonti normative e l’indicazione dei documenti richiesti in modo da predisporre il servizio informativo in maniera completa.

Riprendendo ora il discorso sulla caratterizzazione dello sportello unico che emerge dalle previsioni che si stanno commentando, ne viene l’immagine di un ufficio, oltre che informativo e di “contatto”, con compiti ausiliari in materia istruttoria.

Dalla circostanza che la formulazione originaria dell’(allora) articolo 4 dicesse al comma 4 che “ufficio cura altresì, su richiesta del responsabile del procedimento, gli incombenti necessari…” mentre nella versione definitiva del Testo Unico la menzione del responsabile del procedimento sia caduta si potrebbe ricavare l’impressione che si sia voluto dare allo sportello un potere di autonoma iniziativa in materia istruttoria.

Tale impressione deve però cadere di fronte al permanere dell’inequivocabile dato testuale dell’articolo 20, comma 3 che dispone che “il responsabile del procedimento cura l’istruttoria”.

Lo Sportello unico resta dunque ristretto a compiti (peraltro non ben definiti) ausiliari rispetto a quelli del responsabile circa l’istruzione della pratica.

3.6 Le caratteristiche organizzative dello sportello unico per l'edilizia

Nell’adottare i provvedimenti necessari per la costituzione dello sportello unico, le amministrazioni comunali dovranno tenere presente alcuni criteri di massima desumibili dalle norme in commento ed in grado di soddisfare tutti gli adempimenti richiesti allo sportello medesimo.

Essi sono: l’unicità della struttura; la possibile opzione per la gestione associata; l’attività di informazione; l’informatizzazione dell’ufficio; la dotazione del personale.

  1. per quanto riguarda l’unicità della struttura, è necessario che il nuovo ufficio abbia una configurazione armonica e non disarticolata e che a capo di esso sia nominato un autonomo responsabile. Infatti, pur permanendo in capo al dirigete o al responsabile del procedimento la competenza al rilascio dei vari provvedimenti riguardanti l’intervento edilizio richiesto, il responsabile dello SUE deve assicurare la puntualità degli adempimenti di volta in volta previsti dalle varie disposizione del TUE come, ad esempio, in tema di comunicazione del nome del responsabile del procedimento, di acquisizione dei pareri di altri uffici, comunali e no, di notifica dei provvedimenti all’interessato, eccetera. Per tanto lo SUE diventa una struttura di raccordo tra il cittadino e gli uffici comunali, che si aggiunge alle strutture già esistenti presso i singoli Comuni (alcuni dei quali hanno, peraltro, già in concreto avviato analoghe esperienze organizzative). Ovviamente tale configurazione è idonea a risolvere i problemi di comunicazione tra cittadino e pubblica educazione nei Comuni di grandi dimensioni, nei quali risulta senz’altro vantaggioso sollevare gli uffici a carattere squisitamente “tecnico” da adempimenti puramente amministrativi, ma potrebbe mettere in non trascurabile difficoltà i Comuni più piccoli. Questi ultimi, invero, raramente potranno dotarsi di mezzi e strutture idonei a garantire il soddisfacente funzionamento dello sportello e sarà, pertanto, fondamentale per essi affidare i compiti dello SUE ad una struttura derivante dall’associazione di più enti comunali tra loro, eventualmente presso una Comunità montana o isolana  presso Unione di Comuni, o stipulando apposite convenzioni con Comuni limitrofi.
  2. Il principio riguardante l’attività di informazione risponde all’esigenza di fornire ai cittadini il quadro completo della normativa vigente (locale, regionale, nazionale o comunitaria e dei relativi adempimenti (anche quelli richiesti da disposizioni locali) e quindi concerne non solo i procedimenti di stretta pertinenza comunale ma anche quelli ad essi collegati, di competenza di altre amministrazioni. Nel caso di Sportello associato, la gestione del servizio di informazione concentrata presso la sede principale dello sportello stesso collegata con i singoli Comuni aderenti mediante installazione di postazioni informatizzate periferiche, con possibilità di stampa delle informazioni di interesse. In tal modo anche i piccoli Comuni potranno garantire un servizio efficiente, tendente alla massime informazione, senza doversi autonomamente provvedere di risorse umane e strumentali particolarmente onerose, che verrebbero concentrate esclusivamente nella sede dello sportello associato.
  3. È urgenza di approntare un ufficio unitario addetto plurime funzioni (eventualmente a servizio di più enti comunali, ed in grado di soddisfare ogni richiesta di informazione in materia edilizia impone necessariamente che venga assicurata la piena informatizzazione dell’ufficio, non solo al fine di garantire la più ampia disponibilità informativa ai cittadini (mediante il collegamento con altre banche – dati eccetera), ma anche la gestione rapida e flessibile dei procedimenti che vengono attivati presso lo Sportello. Si pensi alla facoltà di accesso alle domande presentate e allo stato del loro iter procedurale, che esige la predisposizione di un archivio informatico in cui devono essere immagazzinati i dati relativi alle domande di autorizzazione presentate al Comune ed allo stadio procedimentale in cui esse si trovano.
  4. Dal punto di vista del personale, la Giunta comunale può liberamente regolare gli organi, gli uffici e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi e stabilire le responsabilità giuridiche attinenti ai singoli operatori. Ad esempio il nuovo ufficio potrebbe essere strutturato con una configurazione di staff  e per garantire un adeguato sistema i informazione e la trattazione di più pratiche contemporaneamente. Inoltre se è stato creato uno sportello associato, l’organizzazione dovrà essere adeguata al tipo di servizi effettivamente richiesti dai Comuni che vi hanno aderito e potrebbe essere, ad esempio, previsto presso la sede dello sportello il coordinamento dell’ attività comune a tutti gli enti (gestione della banca – dati, rapporti con le altre amministrazioni eccetera), mentre l’effettiva trattazione delle pratiche potrebbe essere attribuita al personale in servizio presso ciascun Comune. In realtà, ogni Comune ha la massima libertà di scelta nell’articolazione del nuovo sportello, purchè, a parere di Vittorio Italia, venga individuata una figura unitaria che svolga la funzione di dirigente dell’ufficio e coordinatore di tutte le attività che fanno capo allo stesso. Il funzionario responsabile potrà essere individuato tra quelli già in servizio presso qualcuno degli enti associati o essere prescelto mediante forme di reclutamento ritenute idonee nel caso di specie ( assunzione a tempo determinato a seguito di concorso); allo stesso modo, il personale assegnato all’ufficio potrà essere individuato nell’ambito di quello già in servizio presso il Comune o i Comuni istitutivi  o assunto secondo le modalità fissate ai sensi dell’articolo 91 TUEL.

3.7 Valutazione complessiva del ruolo dello sportello unico dell'edilizia

Se questo è, in sintesi, il quadro dei compiti dello spor­tello unico, quale è la valutazione complessiva che si può dare della novità?

Si potrebbe dire (sempre sul presupposto di "prendere sul serio" le disposizioni regolamentari di cui ci occupiamo, come se fossero disposizioni legittime e stabili, e non invece destina­te ad essere come minimo integrate e corrette dal potere nor­mativo comunale in tema di autorganizzazione, e verosimil­mente anche da leggi o da regolamenti regionali) che l'istituzio­ne dello sportello unico rappresenta, per come è realizzata, un assai discutibile e modesto intervento di semplificazione.

Se semplificazione è (secondo i criteri fissati dall'art. 20, comma 5, della legge n. 59 del 1997) la riduzione delle amministrazioni intervenienti nello stesso procedimento; la riduzione delle competenze con accorpamento di funzioni; la costituzione di centri interservizi; la riduzione del numero dei procedimenti, qui non c'è niente di questo: restano le competenze, restano tutti i procedimenti, con il solo alleggerimento consistente nell'averli inseriti, come fasi presupposte o come sub-procedimenti, all'interno di un procedimento principale.

Lo stesso "invito" a servirsi della conferenza di servizi, circondato dalle incertezze che si sono accennate, non è formulato nei termini chiari e cogenti che si sarebbero voluti.

Sotto questo aspetto è invece un vero intervento di semplificazione la soppressione della Commissione edilizia e del re­lativo parere (ma si noti che tale soppressione è enunciata, nell'art. 4, in forma indiretta e tutt'altro che imperativa: "nel caso in cui il Comune intenda istituire la Commissione edili­zia...", quindi è una soppressione solo facoltativa ed eventua­le, ed anzi, come dice lo stesso Governo nella relazione, è solo "l'eliminazione dell'obbligatorietà del parere della commissio­ne edilizia (la cui sopravvivenza è peraltro rimessa all'autono­ma scelta dei Comuni)".

Per spiegare la "timidezza" della pre­visione ricordata non si può qui però riferirsi a quanto accennato sulla posizione della fonte regolamentare di fronte alla autonomia comunale, posto che l'art. 4 è disposizione di ran­go legislativo, ma piuttosto ad una scelta di opportunità.

Le critiche alla formulazione delle disposizioni in tema di sportello unico, e alla qualità della semplificazione che si è con ciò cercato di realizzare, si appuntano però in particolare sul carattere confuso, e potenzialmente carico di rischi, di quanto si prevede (o non si prevede) in punto di organizzazione delle strutture comunali chiamate ad intervenire nei pro­cedimenti edilizi, e di loro reciproci rapporti.

Notava il Consiglio di Stato, nel suo parere, che "si ha l'im­pressione che la semplificazione che lo sportello unico introduce riguardi - ed è sicuramente un aspetto positivo - solo il rapporto con il cittadino, (che si rivolge ad un solo ufficio), ma corra il rischio di essere vanificata, soprattutto per quanto concerne i tempi, dalla persistente complessità dei rapporti burocratici".

Segnalava in particolare il Consiglio di Stato che "esiste un problema di rapporti fra il responsabile dello sportello, il responsabile del procedimento e il responsabile dell'atto finale", e che sotto questo aspetto non si semplifica ma si complica.

Un esempio di confusione e di moltiplicazione (inutile e pericolosa) di soggetti e di responsabilità è il procedimento con cui il privato può reagire alla mancata adozione, nei ter­mini, del provvedimento richiesto o del corrispondente prov­vedimento negativo (art. 21).

Dunque: decorsi i 60 giorni dalla presentazione della domanda, per l'istruttoria e per la formu­lazione della proposta di provvedimento, e i successivi 15 en­tro i quali il competente ufficio comunale deve adottare il provvedimento finale, l'interessato può "richiedere allo sportello unico che il dirigente o il responsabile dell'ufficio" competente al rilascio del permesso di costruire si pronunci entro 15 giorni. Dell'istanza viene data notizia al sindaco a cura del responsabile del procedimento. Decorso inutilmente il termine l'interessato può inoltrare richiesta (questa volta non allo sportello, ma direttamente) al competente organo regionale, il. quale, nei successivi 15 giorni, nomina un commissario ad acta che provvede nel termine di sessanta giorni.

Trascorso invano anche quest'ultimo termine, "sulla domanda di intervento sostitutivo si intende formato il silenzio-rifiuto".

La disciplina dello sportello unico lascia dunque aperta la possibilità che, restando eventualmente separate le figure del responsabile dello sportello, del responsabile del procedimento e del responsabile dell'atto finale, si creino fra questi soggetti intoppi, sovrapposizioni, e difficoltà di ogni genere.

Non è detto che questo succeda, restando nella possibilità di ogni Comune di disciplinare l'organizzazione dei propri uffici e strutture in modo da unificare le figure accennate.

Tale risultato virtuoso non è però né imposto, né delineato o suggerito dal Testo Unico, che sotto questo aspetto pecca - si direbbe - per un eccesso di rispetto dell'autonomia comunale.

Come già si è detto è certo discutibile che un regolamento governativo possa intervenire sugli aspetti organizzativi interni del Comune, ma una volta che si sia assunto - legittimamente o no - tale compito, meglio sarebbe che se ne facesse carico senza eccessive autolimitazioni.

Se, invece, tale ritrosia fosse dovuta alla considerazione della diversa capacità organizzativa e operativa dei vari Comuni, in relazione alla loro dimensione, alle loro risorse, alla qualità del personale politico e amministrativo di cui possono disporre, sarebbe allora stato opportuno o differenziare le previsioni in relazione a qualche parametro oggettivo, anche lasciando delle opzioni aperte ai singoli comuni, ovvero limitarsi ad indicare, in forma di direttiva, gli obbiettivi da raggiungere lasciando esplicitamente la responsabilità della disciplina in merito ai comuni.

Volendo, da questo punto, di vista si può vedere un passo indietro anche rispetto alla situazione anteriore all’entrata in vigore del T.U.:  l'ufficio abilitato a ricevere la domanda di concessione si identificava con l'unità organizzativa preposta in ogni comune all'istruttoria e rilascio della concessione.

E siamo lontani dallo sportello unico per le attività produttive, che pure è evidentemente il modello cui ci si è ispirati, a proposito del quale viene disposto che vi sia una unica struttura responsabile dell'intero procedimento, e si identifica nel responsabile della struttura, di cui lo sportello unico non è che un ufficio esterno informativo e di contatto col pubblico, è responsabile del procedimento e dell'adozione dell'atto finale.

3.8 Il confronto con lo sportello unico per gli insediamenti produttivi

Vediamo più in particolare come si presenta il confronto con le recenti previsioni in materia di autorizzazione degli insediamenti produttivi.

Il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 prevede all' art. 24, che "ogni comune esercita, singolarmente o in forma associata, ... le funzioni... , assicurando che un'unica struttura sia responsabile dell'intero procedimento".

E continua: "Presso la struttura è istituito uno sportello unico al fine di garantire a tutti gli interessati l'accesso, anche in via telematica, al proprio archivio informatico
Quanto al procedimento, l'art. 25 ripete che "il procedimento amministrativo in materia di autorizzazione all'insediamento di attività produttive è unico."

E fissa, fra i principi cui si deve ispirare il regolamento, quello dell' istituzione di uno sportello unico presso la struttura organizzativa e individuazione del re­sponsabile del procedimento".

In attuazione delle disposizioni ricordate, il d.P.R. 20 ottobre 1998, n. 447 – modificato ed integrato dal D.P.R. 7 dicembre 2000, n.440 - , ha disposto, all'art. 3, che "i comuni esercitano, anche in forma associata, ... le funzioni ... assicurando che ad un'unica struttura sia affidato l'intero procedimento.
Per lo svolgimento dei compiti di cui al presente articolo, la strut­tura può essere articolata in appositi uffici".
"Presso la struttura, previa predisposizione di un archivio informatico conte­nente i necessari elementi informativi, è istituito uno sportello unico".
E infine dispone che "Il funzionario preposto alla struttura è responsabile dell'intero procedimento".

Punto centrale della disciplina in materia di insediamenti produttivi è la struttura unica, non lo sportello, che è visto solo come un'appendice di quella, con funzioni limitate, anche se la suggestione del nome ha finito per far sì che si indichi oggi comunemente la parte per il tutto, che ci si riferisca cioè allo sportello unico per intendere tutto l'insieme delle soluzioni seguite in materia di procedimento di autorizzazione degli insediamenti produttivi.

Lo sportello unico è dunque, nella disciplina in tema di attività produttive, una parte minore della struttura unica, quella destinata ai compiti appunto di "sportello", al quale gli interessati si rivolgono per tutti gli adempimenti previsti" e che "as­sicura, previa predisposizione di un archivio informatico contenente i necessari elementi informativi, a chiunque vi abbia interesse, l'accesso gratuito, anche in via telematica, alle informazioni sugli adempimenti necessari per le procedure previste dal presente regolamento, all'elenco delle domande di autorizzazione presentate, allo stato del loro iter procedurale, nonché a tutte le informazioni utili”.

La differenza è decisiva: nello sportello unico per l’edilizia non si prevede affatto che vi sia un’unica struttura, e l’unificazione procedimentale, che pure è significativa dal punto di vista della facilitazione del privato, non è avvenuta con la concentrazione di competenze, o con la creazione di una struttura interservizi “dove raggruppare competenze diverse ma confluenti in una unica procedura” ( come detta l’art. 20 della legge n° 59 del1997).

Né si dispone che il funzionario preposto alla struttura sia responsabile dell’intero procedimento.

E  neppure si dice nulla circa i rapporti fra il responsabile dell’ufficio sportello unico, il responsabile del procedimento e il responsabile dell’atto finale, e, anzi, su questo piano si creano incertezze e confusione.

Per  converso,nello sportello per gli insediamenti produttivi non si danno allo sportello compiti istruttori, né si crea confusione in tema di convocazione di conferenza di servizi.

Quindi, ribadiamolo, potremmo avere quanto al nostro sportello per l’edilizia un difficile problema di rapporti a tre, fra il responsabile dello sportello unico, con compiti ausiliari, informativi e istruttori, il responsabile del procedimento, con compiti istruttori ( di direzione dell’istruttoria : e lui che – art.20, comma 5- fa motivata richiesta di ulteriori documenti, interrompendo così il termine di 60 giorni dalla domanda per la formulazione di una proposta di provvedimento) ma anche di determinazione del contenuto del provvedimento ( art. 20, comma 3: formula una proposta…), e il responsabile dell’adozione dell’atto, il quale quindi, ricevuta la proposta di provvedimento, non può far altro che aderire o respingerla.

È infatti ancora il responsabile del procedimento e non il responsabile dell’atto finale che – art.20, comma 4 –chiede le modifiche al progetto necessarie per rilasciare il permesso.

3.9 Il necessario completamento del quadro ad opera dei Comuni

In realtà si deve concludere che il quadro sia poco precisato e volutamente nebuloso proprio per lasciare ai Comuni ampie possibilità di scelta e di organizzazione, e, come si è detto per l’incertezza circa le possibilità del regolamento governativo su questi punti.

Infatti la relazione governativa dice sul punto: ”Per quanto attiene invece al profilo organizzativo, la varietà e la disomogeneità delle realtà locali richiedono che sia rimessa all’autonomia normativa del Comune, singolarmente o in forma associata, la puntuale definizione dell’assetto organizzativo per meglio rispondere alle esigenze e alle possibilità del singolo ente.

Ciascun Comune potrà pertanto autonomamente definire l’assetto organizzativo dello sportello, così come quello degli uffici e delle strutture interne destinate a coadiuvare lo sportello unico in sede procedimentale.

In quest’ottica va letta l’eliminazione dell’obbligatorietà del parere della Commissione edilizia e la previsione del potere del comune di individuare altre istanze consultive.”

Del resto anche il Consiglio di Stato suggeriva “all’autonomia di lasciare comunale l’organizzazione dei propri uffici in “ sportello unico”, tenuto, in ogni modo,  a perseguire le finalità minime indicate dall’attuale disposizione”, cioè di “ alleggerire” le previsioni normative rinviando all’autonomia comunale, in relazione alle possibilità di ciascun comune, l’attuazione di un nucleo minimo di principi di fondo.

Resta quindi in conclusione lasciata ai Comuni la scelta fra varie possibilità: far esistere lo sportello unico solo come una sorta di “ struttura meramente istruttoria e informativa, più simile all’ufficio relazioni col pubblico che non allo sportello unico già vigente” ( come già diceva il Consiglio di Stato), come un ufficio servente, con qualche compito di ausilio del responsabile del procedimento, e insomma davvero solo come uno  “sportello” nel senso fisico o poco più.

Oppure costituire una vera struttura unica competente in materia edilizia, di cui lo sportello non sarebbe una articolazione di contatto col pubblico, e affidare al dirigente di questa struttura, competente all’adozione dei provvedimenti finali, i compiti di responsabile del procedimento ed eventualmente anche di responsabile ( diretto o indiretto) dello sportello.

Riportando così a unità sotto la responsabilità di un solo dirigente, tutte le operazioni amministrative in materia edilizia.

Altra possibilità, espressamente enunciata nella relazione governativa, ma assente dal testo normativo e lasciata all’iniziativa eventuale dei Comuni, quella di fondere lo “ sportello per l’edilizia” con quello per gli insediamenti produttivi, come “interfaccia” esterna unica di strutture diverse, o , infine quella di accorpare addirittura le strutture competenti in materia di procedimenti edilizi, civili e produttivi, in una unica struttura operativa, eventualmente intercomunale, con un suo unico ufficio informazioni e contatto col pubblico.

Qui evidentemente la novità sarebbe di gran  lunga più interessante, pur con il rischio di difficoltà organizzative non piccole.

Ma non si è avuto il coraggio, o ritenuto opportuno o possibile, imporre la creazione di una struttura unica, scontandosi su questo punto verosimilmente le obiezioni prevedibili di molti comuni che non si sentono di avere mezzi organizzativi e umani sufficienti per affrontare un compito che, come dice il Consiglio di Stato “ può stravolgere l’organizzazione dell’ente comune. Si è così costruito un ibrido.

Che è qualcosa di più dello sportello unico per gli insediamenti produttivi perché ha anche compiti istruttori, ma è qualcosa di meno della struttura unica perché non è realizzata la concentrazione organizzativa.

E che lascia una poco rassicurante incertezza circa le soluzioni organizzative da seguire.

Se volessimo, in conclusione, rispondere alla domanda, che ci si poneva all’inizio del discorso, se la sostanza delle previsioni in tema di sportello unico corrisponda alle suggestioni e alle attese che sono state suscitate, dovremmo risponderci di no.

Abbiamo infatti delle disposizioni probabilmente illegittime nel quadro costituzionale, limitatamente (o per niente) efficaci nei confronti del potere legislativo regionale, carenti e incomplete (volutamente, per rispetto dell’autonomia organizzativa comunale), e la cui effettiva utilità dipende dunque, quasi del tutto, dal modo in cui i comuni sceglieranno di realizzarle, completandone il disegno.

E se è vero che per il privato c’è la facilitazione di poter far riferimento ad un unico punto per le domande e per ogni altro rapporto con l’amministrazione, e che gli viene risparmiata qualche richiesta di nulla-osta, c’è però dall’altra parte, quella della pubblica amministrazione, il rischio di complicazioni anche peggiori di quelle che si incontrano oggi.

Resta al fondo di tutto, e la si avverte particolarmente, la necessità di recuperare una chiarezza nella ripartizione di funzioni- di funzioni normative in primo luogo- e di responsabilità organizzative e procedimentali fra Stato, Regione e Comuni, alla quale chiarezza questo testo unico non dà affatto un contributo positivo.

Ma è l’intero sistema delle fonti ad attendere degli interventi che facciano ritrovare quella nitidezza di principi e di regole,che pare a rischio di perdersi.

3.10 Sperimentazione di uno sportello Unico urbanistico – edilizio

Il Comune di Cascina (PI), espone al cittadino le semplificazione per le attività produttive.

Questo Comune ha sperimentato per due mesi (dal 5 marzo 2001 al 5 maggio 2001) uno sportello unico urbanistico – edilizio per il cittadino, per estendere i vantaggi ottenuti con lo sportello unico per le attività produttive a tutte le richieste di interventi di natura edilizia residenziale.

Le nuove funzione sono state ora integrate in uno sportello unico sia per le attività produttive che per il cittadino.

Il Comune di Cascina, che fa parte del gruppo di Comuni Innovatori che fa capo al Dipartimento della Funzione Pubblica, ha poi riunito le funzioni sia per le attività produttive che per l’edilizia privata nello sportello unico nello spirito di semplificazione della nuova legislazione “che non può andare – spiega la Responsabile Paola Rosellini – a costituire un Comune che diventi una somma di Sportelli ma che operi per funzioni.

In questo senso il Comune di Cascina – precisa la responsabile – intende la istituzione dello sportello previsto dal Testo Unico per l’edilizia (approvato dal Consiglio dei Ministri), perché in realtà anche per lo Sportello unico per le attività produttive il maggior impegno per le pratiche riguarda l’aspetto urbanistico ed edilizio e noi, confortati anche dal parere del nostro avvocato, abbiamo deciso di accettare l’autocertificazione anche per l’autorizzazione di concessione edilizia (nel T.U. permesso di costruire).

La sperimentazione dello sportello unico urbanistico – edilizio per il cittadino è stata avviata con la sottoscrizione (in data 12 febbraio 2001) di un accordo di programma tecnico- che estende le procedure semplificate per le attività produttive anche alle pratiche edilizio – residenziale e quindi al cittadino -  tra il Settore Uso e Assetto del Territorio del Comune di Cascina, l’azienda ASL n.5 e l’ARPAT di Pisa, il Comando Provinciale dei Vigili del fuoco, la Società Cerbaie S.P.A. e la Provincia di Pisa.

L’accordo prevede:

Gli Enti e le amministrazioni favoriranno, per la conclusione di procedure complesse,l’istituto della Conferenza istruttoria semplificata, riunendosi, secondo necessità, presso lo Sportello Urbanistico del Comune di Cascina. In particolare:   

Il Comune di Cascina si impegna con gli enti interessati a sostenere, tramite la dotazione informatica dello sportello unico, la realizzazione di collegamenti necessari per lo svolgimento di istruttorie nonché il trasferimento di informazioni, atti, documenti o quant’altro ritenuto necessario.

Un atto nello spirito della semplificazione dello snellimento, di una maggiore trasparenza della P.A. nei confronti del cittadino offrendo servizi integrati e non più frammentati.

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